Les Fantômes d'Ismaël: la recensione del film d'apertura di Cannes 2017 con Marion Cotillard e Mathieu Amalric
Un'indagine sulla creatività e il peso del passato diretta da Arnaud Desplechin.
Guardare al passato, venire inondati dai ricordi fino a renderli fantasmi, ma senza nostalgia. È questa la sfida portata avanti da Arnaud Desplechin che in Les Fantômes d'Ismaël porta all'estremo la sua abitudine di far comunicare storie, personaggi e volti all'interno del suo cinema. Dopo aver esplorato l’amore giovanile ne I miei giorni più belli si riaffida al suo attore feticcio, Mathieu Amalric, qui alla settima collaborazione nei panni dell'Ismaele del titolo, un regista narciso e appassionato che abbandona il set del suo film per una fuga eremitica, inseguito da brandelli della sua vita. Situazione resa ancora più complessa dall'irruzione della moglie, morta da molti anni e interpretata da Marion Cotillard - che supera il record di lacrime versate da una non viva -, con irritazione viva dell'attuale compagna, una raggelata Charlotte Gainsbourg.
Il processo di creazione viene sottoposto a un percorso prismatico da laboratorio in cui si sovrappongono, in campo e fuori campo, l’amore per il racconto e la morte, lungo un canale di comunicazione aperto e continuamente in fibrillazione fra piano della realtà e quello della finzione.
Almeno cinque sono gli strati ideati dal regista di Roubaix, che anche questa volta ha inserito, oltre alla sua amata/odiata cittadina di provenienza, una serie di richiami e percorsi incrociati che connettono il suo cinema in un universo unico. Il tempo è come al solito un elemento centrale nello scorrere delle sue storie, gli infiniti granelli di sabbia che scivolano via malgrado tutto, che in questo caso creano un contrasto con l’immobilismo improvviso dei tre protagonisti del film, bloccati da un mare tutto intorno.
Quello che manca rispetto ai suoi lavori più riusciti è uno slancio sincero, un’autonalisi che faccia passare in secondo piano come i suoi fantasmi siano troppo compiaciuti delle proprie radici artistiche, letterarie, del loro vagare sopra le righe di storia in storia. C’è meno cuore e istinto di quanto sarebbe stato necessario per farci perdere nel triangolo. Qualche schematismo di troppo affievolisce la consueta abilità di Desplechin nel far danzare personaggi e camera da presa, come una morta così piena di vita e una viva così trattenuta e misurata da sembrare morta.
Les Fantômes d'Ismaël è discontinuo e irrisolto e ci illude con un inizio folgorante, quello dell’eterno film di spionaggio - con protagonista un eccellente Louis Garrel – le cui trame thriller il regista francese ama accennare, come un sassofonista jazz che improvvisa, ma non girerà mai, come il pasticciere trotzkista morettiano. Il melodramma irrompe nei momenti meno opportuni, appesantendo il flusso anarchico delle visioni d’Ismael, ancorandolo a una scansione temporale, razionale e dicotomica vita/morte, che ne limita il divertimento sanamente irresponsabile. La rende più una magna opera che un divertissment, di fronte al quale ci saremmo lasciati andare con gran piacere.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito