Hotel Artemis: la recensione del noir distopico con Jodie Foster e Dave Bautista

23 luglio 2019
3 di 5

Drew Pearce, cosceneggiatore di Iron Man 3 e Rogue Nation, esordisce nel lungometraggio con ambizione.

Hotel Artemis: la recensione del noir distopico con Jodie Foster e Dave Bautista

In una Los Angeles dell'immediato futuro, devastata dalle rivolte per l'acqua potabile pubblica, la nevrotica infermiera Jean (Jodie Foster) gestisce l'Hotel Artemis, aiutata e protetta solo dal collega Everest (Dave Bautista): si tratta di un ospedale segreto per fuorilegge, finanziato dal padrone di mezza città. In una sola notte, l'incrocio tra il rapinatore Waikiki (Sterling K. Brown), la killer Nice (Sofia Boutella) e altri personaggi spezzerà equilibri oltremodo fragili.

Noir distopico dalle tinte pulp compiaciute, specialmente nei dialoghi sopra le righe sempre a effetto, Hotel Artemis ci sembra seguire produttivamente e stilisticamente quell'approccio alla cinematografia di genere che ha decretato l'enorme successo a sorpresa di John Wick. Lo scrive e dirige, al suo esordio nel lungometraggio, il duttile inglese Drew Pearce, in grado di mantenersi in equilibrio tra scherzo (la serie tv No Heroics) e il divertimento senza pensieri, avendo collaborato ai copioni di Iron Man 3 e Mission: Impossible - Rogue Nation. Di John Wick c'è la stessa volontà di partire da caratterizzazioni tagliate con l'accetta, "tipi" eterni, immergendoli in una confezione più che competente: la fotografia di Chung-hoon Chung e le scenografie di Ramsey Avery aggirano i limiti dei 15 milioni di dollari di budget, per restituirci un'atmosfera palpabile e distintiva. Per ottenere questa stilizzazione così precisa, Pearce gestisce molto bene il casting, che vive, oltre ai nomi citati, di facce e corpi adatti alla bisogna, come Zachary Quinto, Charlie Day (repellente) e Jeff Goldblum (scelta curiosa e come sempre sfruttata al meglio da un attore che non ci stanca di lodare).

Hotel Artemis è però paradossalmente danneggiato dalla sua stessa ambizione e generosità: si tende a volte scherzando a sostenere che un film "mette troppa carne a cuocere", suggerendo che rimanga cruda. Ecco, Pearce all'opposto costruisce il film con pezzi ben tagliati, persino cesellati al microscopio, ma stracotti. Proseguendo col paragone concettuale con la saga di John Wick, lì gli autori Leitch e Stahelski, consapevoli dell'inconsistenza dei loro personaggi, avevano avuto la furbizia di giocare senza remore azzerando i sottotesti. Pearce invece tiene evidentemente a cercare emozioni reali, persino con ambizioni sociali, ma i suoi personaggi e il loro modo di parlare sono vincolati dalla recitazione espressionista e carica degli attori, inevitabilmente visto il citato registro dei dialoghi. Specialmente la performance della protagonista Jodie Foster ci è sembrata più virtuosistica che emozionale, come pure il passato del suo personaggio richiederebbe. Il risultato finale complessivo è quello di una divagazione B-Movie di lusso con interpreti competenti, a metà strada tra la paranoia meno curata ma più viscerale di The Purge e appunto l'elegante coreografia fine a se stessa di un John Wick.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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