Holy Motors - la recensione del film di Leos Carax

23 maggio 2012
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Holy Motors, la recensione del film di Leos Carax presentato in concorso al Festival di Cannes 2012.

Holy Motors - la recensione del film di Leos Carax

Una sala cinematografica affollata di gente immobile. Frammenti delle cronofotografie degli atleti di Marey. Un uomo che scopre una porta nascosta che lo conduce proprio in quel cinema. Da cui noi, spettatori, fuoriusciremo per assistere a qualcos’altro. Qualcosa di nuovo, diverso, sorprendente.

Così inizia Holy Motors di Leos Carax, che prosegue seguendo le vicende e le tante trasformazioni di un misterioso personaggio, Monsieur Oscar, che conosciamo come banchiere che al mattino sale sulla sua limousine e che capiamo rapidamente (?) essere sempre qualcun altro: una zingara che chiede l’elemosina, un attore impegnato in una sessione di motion capture, il mostruoso Monsieur Merde del segmento di Tokyo! firmato da Carax, un padre, un killer, un vecchio morente e altro ancora.

Che dapprima spiazzi, Holy Motors, di per sé è già un pregio.
Vedere Denis Lavant (unico volto e corpo possibile per un film come questo, e non solo per il fatto di essere già stato l’originale Monsieur Merde) cambiarsi e truccarsi all’interno della limousine che gli fa da camerino e guidata dalla sua unica confidente “reale”, scendere dall’auto e interpretare un ruolo e poi ricominciare da capo, appare quasi sorprendente.
Ma presto, e ancor di più con l’emergere della stanchezza fisica ed esistenziale di Oscar, quella che potrebbe apparire come una lunga, articolata, ribelle ma sterile burla di Carax si rivela con l’essere un film che di cose da dire ne ha tante, e le dice in modi interessanti, stimolanti e dialettici. E se c’è dell’intellettualismo, questo è giustificato, quasi necessario.

Se in molti hanno trovato e troveranno Holy Motors a tratti esilarante, sotto il divertimento di alcune surreali e provocatorie situazioni si nasconde sempre e comunque la dolenza e l’ansia che emergono man mano che il film procede.
Attraverso una messa in scena spiazzante e provocatoria, situazionista, che nelle sue oscillazioni di gusto e qualità disorienta e spinge a mettere in discussione, il film di Carax parla della vita e del cinema, dell’identità e del concetto stesso di realtà.

Una realtà che, in Holy Motors, pare non esistere, sempre negata dall’incessante interpretazione di un ruolo da parte di Oscar, che anche sé stesso incontra altri ruoli: a tal punto che la negazione cambia di segno. La realtà esiste perché tutta la realtà è rappresentazione. L’identità è una maschera (l’unico personaggio che nel film pare sé stesso, l’autista Celine, terminato il lavoro ne indossa una senza tratti somatici) così come lo sono i ruoli che, ripetutamente, interpretiamo.
E allora l’interpretazione è ogni volta una letterale (re)incarnazione, una resurrezione. La vita è un teatro, un palcoscenico, uno schermo cinematografico dove siamo incessantemente costretti a recitare, come scimmie ammaestrate.

Proprio come Leos Carax esplicitamente suggerisce in un finale che è uno sberleffo spiazzante, folle, inquietante. Che fa ridere amaro.
Perché, come Monsieur Oscar, il senso di chi siamo davvero vorremmo conservarlo. O ritrovarlo.
 



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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