Ho ucciso Napoleone: recensione della commedia di Giorgia Farina con Micaela Ramazzotti
La vendetta di una dark lady tra fumetto e solidarietà femminile
Cosa hanno in comune l’americana Uma
Thurman e l’italiana Micaela Ramazzotti oltre al talento, ai capelli
biondi e a un compagno di vita che fa il regista? Ora che esiste Ho ucciso Napoleone, possiamo
dire che le due attrici condividono anche una "lady vendetta", un personaggio
femminile ferito nell’orgoglio che lancia al nemico una terribile contro-offensiva, non
ripagandolo assolutamente con la stessa moneta.
Certo, fra la
sposa di Kill Bill e l'accanita lavoratrice
del secondo film di Giorgia Farina qualche
differenza c’è, ma la rabbia è la stessa, così come il coraggio
e l’impossibilità di scendere a compromessi.
Come già aveva fatto in Amiche da morire, la giovane regista romana racconta una storia di solidarietà femminile, tratteggiando un microcosmo nel quale la dolcezza protettiva e l’affettuoso ascolto normalmente attribuiti a piccoli e grandi ginecei vengono spazzati via da un atteggiamento fattivo e da una sorprendente capacità organizzativa, come a dire: "Ehi, maschi, guardate che noi il fazzoletto lo abbiamo buttato via da tempo".
E’ una dark lady implacabile la protagonista del film
Anita, una vera cattiva che non si preoccupa di circondarsi di un'
allure di sensualità e mistero. Più gelida della
Miranda Priesly de Il diavolo veste Prada
, è soprattutto una donna pratica, che invece di agitare sempre al vento una
capigliatura alla Veronica Lake predilige pettinature pratiche come lo
chignon. Il che è molto originale.
Tuttavia, se a interpretare questo algido
robot che cammina come un soldatino non fosse stata chiamata la
Ramazzotti, il personaggio avrebbe corso il rischio di risultare
caricaturale.
Bisogna anche precisare che la Farina ha scelto
di allontanarsi il più possibile da una recitazione naturalistica e di scartare il
realismo a favore del fumetto, un fumetto fatto di colori forti, dialoghi essenziali e uomini e
donne che sembrano archetipici.
Abbiamo detto "sembrano", non "sono",
perché la vivacissima Giorgia a un certo punto cambia le carte
in tavola, rivelando, tanto in Anita quanto in coloro che le ruotano
intorno, un lato nascosto: vulnerabile nei villain e maligno nei
buoni.
Nonostante questi voltafaccia, non succede tutto e il contrario di tutto in
Ho ucciso Napoleone, pochi personaggi vanno da un
punto A ad un punto B. Cambiano le sfumature, piuttosto, e qualche angolo viene
smussato, ma in fondo al cuore ognuno è quel che è, e la
responsabilità è delle famiglie in cui si è cresciuti. E’ questo
il messaggio schietto che ci arriva attraverso alcuni flashback in cui ottusi genitori
danneggiano in maniera permanente i figli. Non è una lezione scontata e sappiamo
bene che dietro c’è il vissuto della regista.
Meno interessante, forse, il discorso sulle donne in carriera: quelle che vivono la maternità come un fastidio, quelle multitasking e iper organizzate, quelle che invece di volere una cosa la pretendono. Non è un contenuto nuovo, ma siccome è nuova – o meglio innovativa – la forma del film, cambia la nostra maniera di percepirlo.
Giorgia Farina è una regista che sa girare e
tirare fuori il meglio da Libero De Rienzo, Adriano Giannini, Elena Sofia Ricci & Co., ma inseguendo il
ritmo rutilante del suo racconto e la sua voglia di essere diversa dagli altri, dimentica di
scaldarci il cuore con una grande storia.
Noi che amiamo il cinema siamo avidi di
grandi storie, anche diquelle già sentite, perché sono il dono più
bello che un film possa darci.
La diavolessa/paperina Anita,
però, ce la porteremo comunque dietro, sperando di diventare come lei solamente
all’occorrenza.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali