Hates - House at the End of the Street: la recensione del film con Jennifer Lawrence
Un thriller di genere con Elizabeth Shue
La diciassettenne Elissa si trasferisce con sua madre Sarah in una cittadina di provincia, immersa nei boschi. Scostante vicino di casa è il giovane coetaneo Ryan, unico superstite di una famiglia distrutta dal duplice omicidio dei suoi genitori, per mano di una sorella mentalmente instabile. Elissa è subito affascinata da Ryan, intessendo con lui una difficile relazione, mentre sua madre l'ostacola a causa di mille sensi di colpa, e Ryan a sua volta sembra nascondere qualcosa...
Mark Tonderai, ex-disc jockey della BBC e in precedenza autore del thriller Hush, ha confezionato Hates - House at the End of the Street per rispettare tutte le regole del genere "hitchcockiano": passato misterioso, tensioni, sospetti, fiducia tradita, madri problematiche. Per farlo si è rivolto a due attrici di rilievo, Jennifer Lawrence (da poco premio Oscar per Il lato positivo) e la sempre in forma Elizabeth Shue, nel ruolo di sua madre. Pur di stupire lo spettatore, il copione di David Loucka e del redivivo Jonathan Mostow (che nel 2003 avrebbe dovuto dirigerlo) si apre a risvolti politicamente scorretti, ribaltando un apparente buonismo in un crescendo crudele ma sin troppo rocambolesco e improbabile.
L'omaggio alle tecniche del genere, in sceneggiatura e regia, è talmente calcolato da non emozionare mai davvero, anche perché tutti gli stereotipi situazionali di questo tipo di film sono già stati gonfiati e fatti esplodere con sagace autoironia da Wes Craven e dai suoi Scream. Manca nel lavoro di Tonderai una marcia in più per trasformare il meccanismo in emozione reale o almeno in un punto di vista cinematografico che in immagine e suono si faccia ricordare.
Costato 7 milioni di dollari, Hates ne ha incassati in tutto il mondo 42, di sicuro imputabili al fascino e al traino della protagonista di Hunger Games, professionale come al solito. Non basta tuttavia l'impegno delle due attrici o del giovane Max Thieriot (Ryan) a innalzare il film da un coinvolgimento sensoriale molto basico, adatto ai brividi di una serata con pizza e amici.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"