Guida tascabile per la felicità - recensione del film con Kodi Smit-McPhee
Presentato al Festival di Roma 2014 nella sezione Alice nella città.
La scoperta. Il superamento. La vita, l'amore, la morte e l'impossibile resurrezione.
Gli ingredienti di Guida tascabile per la felicità
, opera prima di Rob Meyer, sono quelli tipici di tanti, forse troppi
romanzi di formazione visti al cinema in anni recenti.
E però è innegabile che vuoi per alcune scelte insolite (i giovani protagonisti sono appassionati
bird watcher, e tutta la trama ruota intorno alla ricerca di un'anatra che si riteneva estinta) vuoi per i
toni scelti dal regista, vuoi per alcuni accenti sul lutto, questo piccolo film indipendente americano si
ritaglia uno spazio tutto suo, intimo e carico di dignità, senza per questo avere ambizioni egemoniche o
rivoluzionarie.
David e i suoi amici sono nerd forse, ma nerd vecchio stampo, sono i ragazzi ai margini e tutto
sommato contenti di esserlo, sono gli eredi contemporanei della banda di Stand By
Me, lontani anni luce dai nervosismi fluorescenti ed esibizionisti dei film di
Hughes o dalle rivoluzioni in chiave cool dei protagonisti dei vari Big
Bang Theory.
E qualcosa, nella loro soave e placida rivendicazione della loro diversità, conquista una parte di
noi che troppo spesso viene dimenticata.
David, poi, è ancora più annodato di quanto non comportino i suoi 15 anni, i suoi hobby e il fisico
goffo e dinoccolato di Kodi Smit-McPhee per aver perso la mamma un anno e
mezzo prima, e in giustificato e silente sobollimento perché il padre sta per risposarsi con l'infermiera
che aveva curato la genitrice durante la sua malattia.
E il suo dolore così puro e soffuso, tocca corde profonde con delicatezza.
Così, come è nella ricerca e nell'attesa che si trova realmente, per David e suoi, il senso del
birding e della loro avventura nei parchi del Connecticut, allo stesso modo è in queste atmosfere liquide
e in questi sentimenti pervasivi che Guida tascabile per la felicità
(insoddisfacente adattamento dell'originale A Birder Guide to Everything
) trova il suo senso e il suo valore.
Meyer si accontenta di viaggiare a velocità ridotte, permettendo di cogliere i dettagli del
panorama, e non appare minimamente interessato a raggiungere la meta in fretta o con stile
appariscente, privilegiando la misura anche nella riuscita alternanza tra toni leggeri (con qualche
battuta davvero riuscita) e un sentimentalismo mai retorico.
Lungo quel cammino, che è quello dello spettatore, David scoprirà che il sogno cullato della
resurrezione - di una specie, come di una madre - è destinato a infrangersi, ma che accettando e
guardando negli occhi quel lutto (portando l'anima di chi osserva e di quello che è osservato a
coincidere, per usare le sue stesse parole) portrà tornare a vedere il mondo che lo circonda: una
famiglia, l'amore, sé stesso proiettato nelle sue passioni e nei suoi sentimenti.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival