Golda: la recensione del film con Helen Mirren nei panni della premier israeliana
Una sfida per la stessa esistenza in vita per il giovane stato di Israele, la guerra del Kippur nel 1973. Il regista Guy Nattiv dirige una irriconoscibile Helen Mirren nei panni di Gold Meir primo ministro durante giorni cruciali. La recensione del film presentato alla Berlinale.
La macchina da presa svela i presenti attorno a un tavolo di crisi, si muove lentamente e sembra svelare tutti parenti, uomini ormai incanutiti. Vengono raggiunti da una donna ancora più anziana, dall’andatura faticosa e un po’ curva, sigaretta sempre accesa. È la premier israeliana, Golda Meir, una delle pionieri dello stato d’Israele, fondato solo pochi anni prima. È il 1973, sono le prime ore del mattino di un giorno sacro come nessun altro nel calendario religioso (e da quelle parti anche civili) ebraico: lo Yom Kippur, il giorno dell’espiazione.
Una donna a suo agio soprattutto fra i polli e i campi del suo kibbutz, a cui la storia ha imposto di guidare per cinque anni il governo israeliano. Anni terribili, dal 1969 al 1974, funestati dal massacro dei Giochi Olimpici di Monaco del 1972, dalla crisi petrolifera, e per l’appunto dall’attacco a sorpresa di Siria, dal Golan, ed Egitto, attraversando il canale di Suez, che scatenò la Guerra del Kippur. Un leader politico, “non militare”, come dice in un momento cruciale di Golda, resoconto diretto da Guy Nattiv, a partire da una sceneggiatura di Nicholas Martin, di quelle due settimane in cui Israele è stato a tanto così da finire cancellato dall’attacco arabo.
Un lavoro di trucco significativo, e come spesso accade fonte di distrazione per lo spettatore, ha trasformato Helen Mirren nell’anziana e debilitata Meir, nata a Kiev nell’impero russo di fine Ottocento, parte importante della generazione di ebrei ashchenaziti che dall’est Europa sono emigrati in Palestina per poi fondare lo stato i’Israele nel 1948. Golda si concentra sulle ore di incertezza, incapaci di anticipare l’attacco a sorpresa di Siria ed Egitto, illustra lo sbandamento degli alti vertici politici e militari del Paese, mentre Golda Meir cercava di superare le loro inefficienze gestendo con qualche umano errore, puntualmente riconosciuto nella commissione d’inchiesta successiva, ma soprattutto tenendo duro e abilmente sfruttando la storica protezione americana, amplificata dalla carica di segretario di stato in mano a Henry Kissinger, ebreo e molto vicino a Israele e alla Meir.
C’è un momento in cui, durante l’incontro d’emergenza a Tel Aviv, in quelle ore concitate, in cui difende la sua autonomia dopo aver assaggiato controvoglia il borsch cucinato dalla cuoca del primo ministro (“è una sopravvissuta della Shoah, devi mangiarlo”). “Sono prima americano, poi ministro e solo dopo ebreo”, dice, scatenando la risposta diabolica della leader israeliana, “Come sai, in ebraico si scrive al contrario, da destra a sinistra”.
Uno dei momenti più ironici di una messa in scena fra il sarcastico e il greve, cupa e messianica, soffocante nel suo indugiare fra i corridoi e le stanze fumose e buie della sede della risposta politica e militare israeliana. Una cupezza alimentata da incubi e visioni, da momenti in cui realtà e immaginazione sembrano confondersi nella mente sotto enorme stress di una Golda Meir malata, e sottoposta anche in quei giorni a una terapia dopo la diagnosi di un tumore, tenuta segreta al suo popolo e al mondo intero.
Un intrattenimento di grana grossa, a tratti risibile e povero nella messa in scena, Golda ha il merito di raccontare una vicenda di grande portata e un personaggio molto avanti nei tempi, una donna risoluta pur mantenendo un’aura materna che le valse il titolo di “nonna del popolo israeliano”, amata e ricordata più a livello internazionale che nel suo paese, secondo quando Nattiv ricorda nelle scritte finali che chiudono questo ritratto zoppicante di una delle figure femminili più importanti del secolo scorso.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito