Godzilla vs. Kong: recensione del nuovo capitolo del MonsterVerse
I due Titani fanno a botte e questa è l'unica cosa che conta, in un film che mette gli umani in secondo piano e li usa come pedine bidimensionali per animare un trama pretestuosa e sciocca come quella di certi B-Movie anni Cinquanta. Perché tanto l'unica cosa che conta è che ci sono Godzilla e Kong che fanno a botte.
Il motivo principale per cui uno decide di vedere un film che si chiama Godzilla vs. Kong è già lì, in bella vista nel titolo: uno vede un film che si chiama Godzilla vs. Kong perché vuole vedere Godzilla e King Kong che fanno a botte, si prendono a legnate, se le danno di santa ragione.
Perché vuol vedere realizzata sullo schermo - meglio se grande, ma di questi tempi ci possiamo accontentare anche di altri un po' più piccoli - la versione realistica (si fa per dire) e ultra-tecnologica degli scontri che si immaginava da bambino, quando faceva scontrare, letteralmente, i pupazzetti di questo o quel personaggio che teneva tra le mani, immaginando gli incontri più improbabili e violenti.
Considerato questo, non ci sono dubbi sul fatto che Adam Wingard sia riuscito a fare di Godzilla vs. Kong il film che il suo spettatore ideale aveva voglia di vedere.
Sono due i momenti del film di Wingard dove i due Titani (come vengono ora chiamati nel MonsterVerse questi mostroni giganti) si affrontano: e sono entrambi due momenti spettacolari e memorabili.
Il primo, e più breve, nel bel mezzo dell'Oceano, con Kong caricato su una chiatta gigantesca e in viaggio verso l'Antartide, da dove dovrebbe poi raggiungere la Terra Cava facendo da guida agli scienziati (e non solo) che lo accompagnano, e con Godzilla che pare essere nuovamente una minaccia dopo aver salvato il mondo in King of the Monsters e che emerge dalle acque per regolare conti ancestrali col rivale.
Il secondo, più lungo, in due round, e sulla terraferma, a Hong Kong, con grande sprezzo delle costruzioni umane di neon illuminate e spietatamente distrutte, dove Godzilla è arrivato richiamato da una minaccia e da dove chiama a sua volta all'appello Kong, che nel frattempo, nella Terra Cava, si era assiso sul trono dei suoi avi, e ne aveva ritrovato l'ascia.
Sì, perché Godzilla vs. Kong è anche il film dove il gorillone una l'ascia ("Ascia? No dico: ascia?", per citare Brancaleone da Norcia); un'ascia alimentata dalla stessa energia del fiato atomico del rivale. E la userà anche contro quello che si rivelerà un nemico comune della coppia di Titani, il Mechagodzilla creato dai soliti umani troppo carichi di ubris.
Gli umani: che problema. Wingard, tra l'altro, l'ha detto a chiare lettere: il MonsterVerse sarebbe pronto per un film senza di loro. E Godzilla vs. Kong è chiaramente per lui una prova generale in tal senso.
Il vero, grande (no pun intented) protagonista di questo film, anche in termini di psicologia e sentimenti, è Kong: il Titano primate, cui quindi è più facile affidare certi compiti rispetto al rettile Godzilla, che qui funge da nemesi e al massimo co-protagonista, ombroso e schivo, carico di sintomatico mistero, eppure letale, come certi side characters dei cartoni di quando eravamo bambini.
Gli umani, in questo film, sono accessori bidimensionali e poco meno che superflui, messi lì giusto per salvare qualche apparenza, e permettere qualche deviazione o qualche distrazione in un racconto le cui fin troppo ardite circonvoluzioni sciocche e pretestuose come quelle di certo cinema fantastico-avventuroso di serie B degli anni Cinquanta. E gli attori recitano di conseguenza.
L'unico umano di un certo rilievo nella storia di Godzilla vs. Kong è, guarda caso, del tutto funzionale al suo protagonista, ovvero Kong: è la bambina sordomuta (Kaylee Hottle) adottata da Rebecca Hall, e a modo suo anche dal gorillone che da lei impara - con sorpresa di tutti personaggi, ma non di molti spettatori - la lingua dei segni.
E quindi torniamo a Kong, ai suoi sentimenti, alla sua psicologia che omaggia quella classica del personaggio, ma soprattutto alla sua possenza e alla sua capacità di essere lottatore spietato, feroce e a suo modo anche elegante. Wingard ha detto di aver modellato in parte la sua fisicità su quella del Bruce Willis di Die Hard e del Mel Gibson di Arma letale.
Anche per questo, quando si rialza per lo scontro finale con Mechagodzilla e si rimette a posto la spalla lussata proprio come faceva Martin Riggs in Arma letale 2, il rischio dell'applauso a scena aperta è altissimo. Anche più di quanto strappa la testa a certi suoi rivali, ne assaggia l'interno, e la tiene in altro come trofeo.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival