Gloria Bell, la recensione del film con Julianne Moore e John Turturro
Il regista Sebastián Lelio rifà il suo Gloria del 2013: cosa comporta il remake?
Single, divorziata da oltre dieci anni con due figli adulti che adora, Gloria (Julianne Moore) è una cinquantenne equilibrata, che gradisce ballare e sogna ancora di trovare un nuovo compagno. L'apparizione di Arnold (John Turturro) sembra aprire uno spiraglio, ma adattarsi alle difficoltà psicologiche di lui non è semplice.
Gloria Bell è il film con cui il regista cileno Sebastián Lelio, anche sceneggiatore, rifà il suo stesso Gloria del 2013 (premio a Berlino per la miglior interpretazione femminile a Paulina García), trasferendolo negli Usa, affrontando il suo secondo lungometraggio in lingua inglese dopo Disobedience. Senza conoscere il prototipo, Gloria Bell è un lavoro che può sorprendere: grazie alla duttilità di Julianne Moore, gli alti e bassi di Gloria sono il riuscito ritratto di una rara persona... normale. Costruire una narrazione su un personaggio non in particolare crisi esistenziale (al massimo naturale e transitoria) è un'impresa intelligente che a Lelio riesce bene. Non è frequente seguire un personaggio di questo tipo, che non risponde alle nevrosi del mondo con le proprie, ma anzi vi contrappone un'affascinante equilibrio di sensibilità e razionalità. Turturro, da veterano qual è, regge il colpo del talento della collega, ma questa rilettura è davvero un monumento a Julianne Moore, che già come artista incarna proprio una sua versione di quell'equilibrio: una delle poche in grado di rendere sullo schermo figure femminili a 360°, erotiche e naturali, stilizzate o realistiche, con metodo e anche trasporto emotivo sincero. Non stupisce che il motore del remake sia stata proprio lei, come executive producer.
Posto che Gloria Bell è, preso in sè, un'opera interessante, c'è qualcosa di assai istruttivo e curioso da evidenziare se lo si paragona con l'opera originale. Il rifacimento perde due elementi a nostro parere piuttosto importanti: la carnalità e un'angoscia concreta. C'era da aspettarsi che, trasferendosi negli States, Lelio non riuscisse a convincere attori o produzione a mostrare nudi espliciti, frontali e imperfetti: Julianne Moore (più) e John Turturro (meno) si mostrano fino a un certo punto, ma comunque i loro corpi e il loro aspetto non portano molto i segni del tempo, più spietato sui corpi di Paulina García e Sergio Hernández. L'invecchiamento e la prospettiva della morte trasparivano dalla passionalità viscerale di quelle scene: mancando in questa versione, sono elementi più discussi che vissuti sulla pelle degli attori e quindi dello spettatore.
Il secondo elemento perso nella "traduzione americana" è l'uso dei tempi: c'è una contrazione di dieci minuti rispetto alla durata originale (su sceneggiatura praticamente uguale), ma Gloria Bell sembra assai più corto di Gloria, perché ciascuna sequenza è concepita con maggiore velocità di recitazione, montaggio e ripresa. Sottraendoci del tempo per abitare i silenzi e le attese della protagonista, per apprezzare lo svuotarsi di senso di alcuni momenti dell'esistenza, Lelio cancella quell'inquietante controcanto alla forza della protagonista: stabilità interiore o meno, la vita per la Gloria di Paulina García era qualcosa di imponderabile e incontrollabile.
E' affascinante notare come, con una sceneggiatura sostanzialmente identica e lo stesso regista, circostanze produttive diverse generino in effetti due esperienze differenti, il che spiega meglio di lezioni ad hoc quanti elementi siano in gioco nel cinema, a prescindere dalla linea narrativa. Gloria Bell non è necessariamente un'opera peggiore di Gloria, ma l'assenza di carnalità e i tempi ristretti fanno pesare la bilancia più sul piatto della commedia, allontanando la passione originale disperata in favore di un'emancipazione femminile più leggera e digeribile. Gloria era un dramma sentimentale, Gloria Bell è una commedia sentimentale.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"