Gli Stati Uniti contro Billie Holiday: la recensione del film
Ne Gli Stati Uniti contro Billie Holiday Lee Daniels sceglie di raccontare la persecuzione di Billie Holiday da parte del governo americano in un bipic che rispetta alcune regole del genere e si concentra sull'infelicità della protagonista.
Nel trailer de Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, il poliziotto afroamericano Jimmy Fletcher dice, a proposito della dama del jazz con la gardenia bianca fra i capelli: "E’ forte, è bella ed è nera".
Questa frase, che potrebbe essere lo slogan del film e che suona come una chiamata alle armi contro l'America ingiusta e razzista degli anni '40, in realtà si addice solo fino a un certo punto al personaggio che Lee Daniels ha scelto di raccontare. Se non mette in discussione il coraggio della sua eroina, che sfida il governo continuando a cantare la sua canzone contro il linciaggio dei neri ("Strange Fruit"), il regista preferisce infatti soffermarsi a lungo sui suoi demoni interiori, sulla sua dipendenza dalla droga e dall'alcool e sui suoi rapporti malati con gli uomini. Daniels, insomma, ci tiene a creare uno stridente contrasto fra la donna che il pubblico adorava e applaudiva - e che indossava abiti magnifici e portava il rossetto rosso come nessuna mai, - e la tossica dagli occhi cerchiati di nero, il volto struccato e le braccia devastate dalle troppe siringhe in vena che forse non tutti conoscevano.
Questa doppia signora Holiday attraversa tutto il film ed è la chiara metafora dello scarto che esiste, nello show business e talvolta nella vita, fra pubblico e privato, mito e persona reale, successo e degrado, accettazione e rifiuto. Gli Stati Uniti contro Billie Holiday non dimentica mai di ricordarci la sofferenza della protagonista, che sembra destinata all’infelicità e a una morte precoce, e in questo non si distacca dai ritratti di alcune star musicali di ieri e di oggi, dalla Edith Piaf de La vie en rose al Freddie Mercury di Bohemian Rhapsody. E tuttavia il titolo del film ci ricorda che il fulcro del racconto è il rapporto tra Billie e il governo americano nella persona dell'odioso capo dell’Ufficio Narcotici Harry Aislinger, che riuscì a farl arrestare la cantante per possesso di eroina e che ordinò di non somministrarle più il metadone quand’era in ospedale, anticipando così la sua morte.
Ma un titolo e un pugno di scene non sono abbastanza, e sembra che il buon Lee sia come schiacciato dalla monumentalità della sua protagonista per pescare fra le contraddizioni e rimestare nel marcio del paese all’apparenza più democratico del mondo. E’ come se il regista non sapesse scegliere cosa omettere e su cosa invece insistere. Perché sarebbe stato interessante scoprire qualcosa in più sul feroce carnefice di Billie e sull'impatto che ebbe la cantante sulla lotta per i diritti civili della popolazione nera, tanto più che il film prende spunto da un articolo di giornale di Johann Hari intitolato "La caccia a Billie Holiday". E invece no, Gli Stati uniti contro Bilie Holiday resta in questo senso in superfice, penalizzato anche dalle regole del classico film biografico, che alla fine Daniels si impone di seguire, viaggiando all'indietro nel tempo e cominciando la sua storia con la Holiday che, nel 1957, quindi due anni prima di lasciarci, si racconta al giornalista Reginald Lord Devine. Il film torna troppo poco su questa conversazione e affida la misera e infelice infanzia della cantante soltanto a una scena, ed è un peccato, perché di un trauma è preferibile vedere e approfondire non solo l'effetto ma anche la causa.
L’indecisione di Lee Daniels non si ferma ai temi da affrontare, perché interessa soprattutto la regia, che si esprime nei più disparati stili di ripresa. L'effetto di tutto ciò è la mancanza di un vero e proprio climax e quindi di tensione, con Billie che pian piano diventa un personaggio che, invece di agire, reagisce e basta. E tuttavia, e per fortuna, la sequenza che spiega l'origine di "Strange Fruit" è bellissima e consente, seppure brevemente, di vedere davvero in Billie la grande madre dell’America dalla pelle nera e la capopopolo e insieme vittima sacrificale che rimanda agli States la loro immagine più turpe. Del resto, erano i tempi di J. Edgar Hoover e della droga che circolava in gran quantità ad Harlem. Anche su questo avremmo voluto sapere di più.
De Gli Stati Uniti contro Billie Holiday sono molto godibili le scene di Billie e della sua piccola comunità di amici e musicisti che attraversano gli States a bordo di un pulmino. E’ qui che viene fuori il lato zingaro della Holiday, che per un attimo è autenticamente felice. Infine, c'è la meravigliosa Andra Day, che a ragione ha vinto il Golden Globe e che ha reso pienamente giustizia alla voce forse più bella del XX° secolo.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali