Gladiatori di Roma - la recensione del film d'animazione
Il papà delle Winx sfida i pesi massimi dell'animazione mondiale con un'umoristica storia di gladiatori.
In età imperiale l'orfano Timo, figlio adottivo del generale Chirone, si allena senz'entusiasmo per diventare gladiatore, ma è un imbranato. Innamorato della figlia di Chirone, Lucilla, ricorre a una pozione per battersi col tronfio Cassio, promesso sposo della recalcitrante fanciulla. Scoperto l'inganno, Timo è esiliato e raccolto dalla proto-personal trainer Diana, che ne farà un vero campione.
Dopo Winx Club - Il segreto del regno perduto e Winx Club 3D - Magica avventura il fondatore del più grande studio d'animazione italiano, Iginio Straffi, cerca di affrancare la Rainbow CGI dal suo franchise più famoso, con un lungo a soggetto originale, pensato anche per il mercato internazionale. In un panorama d'animazione mai come in questi ultimi anni così ricco, l'ambizione di Straffi corre seri rischi, alimentati peraltro dal target ristretto delle sue Winx, per sua ammissione puntato alla forbice 4-9 anni. Raccogliendo la sfida del regista, che già sembra temere nelle dichiarazioni l'atteggiamento liquidante della critica, cominciamo con una doverosa ammissione: Gladiatori di Roma non è una timbrata di cartellino.
La sceneggiatura firmata da Straffi, con la collaborazione del Michael J. Wilson del primo Era glaciale, ha un plot prevedibile ma ben orchestrato nel definire il percorso di maturazione del protagonista, un nodo sempre delicato da sciogliere. Proprio per questo ci si chiede se seguire la scia di Shrek nell'ammiccamento al pubblico non sia superfluo: i personaggi che scherzano sul film stesso o Timo che canta a cappella "Sono un ragazzo fortunato" aumentano la vivacità a scapito del rigore narrativo, che pure sarebbe a portata di mano. Discorso analogo per le caratterizzazioni facili nel doppiaggio dei secondari, come una micidiale strega dall'accento meridionale incollocabile. Peccato, perché Luca Argentero e Belén Rodríguez come voci di Timo e Diana sono una scelta indovinata.
Sul fronte tecnico, se Straffi accetta le regole del gioco invece di reinventarle, a maggior ragione un feedback s'impone. Nei movimenti estremi e caricaturali il team Rainbow non ha difficoltà a misurarsi con la concorrenza con appena un po' di fluidità in meno, però l'espressività dei protagonisti nelle scene pacate e più fra le righe, necessarie in ogni storia, ha un crollo visibile. La regia copre il limite virando al dinamismo esasperato quasi ogni sequenza, ma la squadra dovrà senz'altro migliorare sotto questo aspetto.
Un pubblico adulto attento e viziato dai budget americani sarà tentato dal bocciare Gladiatori di Roma, ma la realtà aziendale che Straffi è riuscito a creare, con una maestranza italiana e lavorazioni all'estero marginali, al momento può divertire senza problemi i più piccoli. Si può criticare, non si può delegittimare.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"