Generazione Romantica: la recensione del film di Jia Zhangke in concorso al Festival di Cannes
Un nuovo viaggio di Jia Zhangke nei cambiamenti imposti dall'uomo alla Cina di oggi, un'evoluzione che cambia il territorio interiore e quello geografico di un paese ossessionato dal rapporto con il tempo. La recensione di Mauro Donzelli di Caught by the Times.
Come reagire al cambiamento frenetico di un paese dalla storia millenaria, improvvisamente catapultato in una gara a ritmo folle per modernizzarsi e fare concorrenza al resto del mondo? La Cina costantemente in evoluzione, a rischio di sconvolgere il territorio interiore dei suoi abitanti, oltre a quello geografico, è al centro della tematica di Jia Zhangke, forse il maggiore esponente della cosiddetta sesta generazione di registi cinesi.
Generazione Romantica (Feng Liu Yi Dai) rappresenta un nuovo viaggio, ma allo stesso tempo un compendio di vent’anni e passa di riprese nella città del nord di Datong, in quello Shanxi da cui è originario il regista, in un percorso visivo e tematico lungo i film che sui cambiamenti di quella zona della Cina ha realizzato in questo periodo. A partire da Still Life, che l’ha lanciato definitivamente a livello internazionale con la vittoria del Leone d’oro a Venezia nel 2006.
È sempre Zhao Tao, la protagonista, testimone e musa di Jia Zhangke, insieme alla presenza imponente della gigantesca Diga delle tre gole, lungo il corso del cruciale fiume Yangtze, che ricorda come anche il paesaggio sia stato sconvolto in questi anni, perfino i venti, oltre alle popolazioni locali, costrette spesso a uno sradicamento e un'emigrazione interna che ha caratterizzato i decenni dell'impero novecentesco, quello comunista, ma anche quello più recente in salsa capitalista. In Caught by the Tides, in riferimento alle delle onde reali e metaforiche che hanno travolto il paese, Zhao Tao è Qiao Qiao, figura enigmatica che accompagna tutto il film senza parlare, rimanendo muta dopo aver cantato all’inizio in una scena girata nel 2001.
La seguiamo fino al 2023, mentre la sua vita è sconvolta dalla sparizione di Guao Bin, un uomo a cui sembra essere legata sentimentalmente, che come tanti cinesi si avventura vero un’altra provincia per cercare fortuna in una realtà capace di intercettare con maggior fortuna il miracolo economico, lasciandosi alle spalle una terra - in crisi - nota per le miniere di carbone. In un alternarsi di supporti diversi, dal 16 mm all'Intelligenza artificiale, immagini raccolte nel corso degli anni che accompagnano un viaggio segnato dallo smarrimento, più che dalla speranza, ci conducono lungo scene di ordinaria quotidianità, fra famiglie in casa e balli di gruppo in un palazzo della cultura. Proprio la musica è uno dei pochi elementi comuni che rimangono cruciali nella vita delle persone: cantate amatoriali, brani rilanciati a tutto volume da una cassa, o cantati dal vivo in piazza. Quel ritmo tradizionale che ama particolarmente Jia Zhangke, come ampiamente dimostrato nei suoi film.
Quella che svanisce nel tempo e nel viaggio sembra essere l’interazione umana, il dialogo e la condivisione, fino a esplodere nella parte finale in una società pandemica che amplifica solo la spersonalizzazione degli smartphone e dei QR code come sostituti della parola e dello scambio umano. Come dei robot che pretendono di intercettare le esigenze dei clienti in un centro commerciale, regalando uno dei rari sorrisi di questo malinconico vortice solitario di pedine che soccombono al peso del mutamento, in attesa di nuovo incontro a cui non credono più, liberandosi in una corsa condivisa e antica, come le mura di Datong, estrema testimonianza di una civiltà che perde per strada il proprio passato e con esso le proprie radici.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito