Gangster Squad - la recensione del film di Ruben Fleischer

18 febbraio 2013
3 di 5

L'epoca narrata era diversa, ma la struttura di Gangster Squad non può non ricordare Gli intoccabili di Brian De Palma, dipingendo almeno con le stesse intenzioni la gloria di eroi dediti al dovere.

Gangster Squad - la recensione del film di Ruben Fleischer

La Los Angeles del 1949 rischia di cadere nelle mani di un boss di Brooklyn, Mickey Cohen. Spietato, iperviolento e in espansione, sta per distruggere i sogni di chi sperava in una vita dopo la II Guerra Mondiale. Anche se aspetta un figlio, il sergente John O' Mara, con la collaborazione del riluttante collega Jerry Wooters, accetta di creare un piccolo gruppo segreto di polizia per boicottare e fermare Mickey.

L'epoca narrata era diversa, ma la struttura di Gangster Squad non può non ricordare Gli intoccabili di Brian De Palma, dipingendo almeno con le stesse intenzioni la gloria di eroi dediti al dovere: i Davide di buona volontà contro i Golia del crimine e del male. Decenni iconici: il fascino delle sigarette bruciate a oltranza da uomini vissuti, i borsalini che oscuravano visi e personalità da decifrare, automobili lucide e luminose per uomini sporchi e cupi, le mitragliatrici ingombranti e coreografiche, le donne rosse e vibranti. Il fascino della confezione regge il film, rispettando le regole del poliziesco anche contemporaneo usando gli stilemi di quegli anni come fossero travestimenti da cosplay.

Viene in mente il gusto per il dettaglio d'antan del recente videogame L.A. Noire, ambientato nello stesso periodo e concentrato sugli stessi temi. A ben guardare l'approccio non è quello di De Palma, dal respiro epico più attento alle sfumature caratteriali, ed è anni luce lontano da quello storico-sociale di un L.A. Confidential o di un Nemico Pubblico. La forma e meccanica del genere guidano i contenuti: celebrando con routine il trascorso storico, lo spettacolo ha la ribalta assoluta, come dimostra tra l'altro la coreografia barocca dell'azione, di matrice orientale.

Gli attori partecipano consapevoli della visione estetizzante, felici che sicari evidentemente poco abili li centrino solo quando è necessario in sceneggiatura. Josh Brolin ha il viso perfetto per scolpire il senso del dovere nei suoi lineamenti, Ryan Gosling seduce ancora Emma Stone dopo Crazy Stupid Love, Robert Patrick non ha più l'età del T-1000 ma centra i bersagli meglio di lui. Il crudele Sean Penn cerca di battere in gigionismo il De Niro-Capone di De Palma, mentre il capo della polizia Nick Nolte benedice e arruola tutti, veterano nella finzione e nella realtà.
Tutti si divertono e lo spettatore non troppo esigente non ha motivo di opporre resistenza.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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