Fotograf - la recensione del film biografico ceco

27 giugno 2018
3.5 di 5
9

La storia del famoso fotografo Jan Saudek diventa un film denso di erotismo, diretto da una donna e con due magnifici protagonisti.

Fotograf - la recensione del film biografico ceco

Tra i fondi di magazzino che spuntano puntuali a fine stagione, di tanto in tanto si affaccia anche, per fortuna, qualche articolo, se non proprio di pregio, almeno di buona fattura. Non sapevamo assolutamente niente di questo Fotograf, film ceco uscito in patria nel 2015, e non abbiamo idea di come sia stato acquistato, ma, se vi capita di trovarlo al cinema, vi consigliamo di vederlo come è successo a noi, liberi da informazioni e pre-giudizi, in modo che possiate apprezzarlo come merita. Ad esempio -  confessiamo la nostra ignoranza -  non conoscevamo l'opera di Jan Saudek, fotografo e pittore ceco di fama internazionale, oggi 83 enne, che ha collaborato alla sceneggiatura di questo film sulla sua vita. Personaggio a dir poco singolare e dalla vita turbolenta, riuscito a sopravivere durante l'infanzia a un campo di concentramento nazista, è stato osteggiato e messo sotto sorveglianza dal regime comunista per la sua arte “pornografica” e costretto a lavorare in fabbrica anni per fare ammenda, si è sposato tre volte, ha avuto diversi figli e nipoti ed è famoso, olre che per il suo lavoro, per le affermazioni scorrette e per la vita sopra le righe.

Il film ce ne nasconde poco e forse (almeno lo speriamo per lui) inventa anche qualcosa, come l'accenno a un possibile, inconsapevole incesto e la storia dell'assistente intrigante che approfitta del suo disinteresse per le cose pratiche per derubarlo di affetti, lavoro e proprietà. Comunque sia, il ritratto di quest'uomo con il suo harem di donne – prostitute, ma amche giovani volontarie, estimatrici, assistenti, ecc -, amante dei piaceri della carne (abbondante) che sarebbe andato d'accordo quanto a gusti con Federico Fellini e anche con Tinto Brass, riesce ad avvincere lo spettatore con l'eleganza della messinscena e l'erotismo delle immagini, impensabile in un film occidentale.

E se ci siamo inizialmente stupiti di vedere il sesso e la nudità femminile rappresentati al tempo stesso in modo espicito e con sottile e percepibile sensualità, questo ha trovato un senso quando abbiamo scoperto che a dirigere il film è stata una donna, Irena Pavlaskova, con cui le attrici si devono essere trovate a loro agio almeno quanto il loro satiro, rappresentato con un epico tour de force da un attore che risponde al nome di Karel Roden e che, oltre a una lunga carriera in patria, ha all'attivo molte incursioni nel cinema internazionale (Rocknrolla,The Bourne Supremacy, Blade II, Hellboy ecc.), a attualmente è sul piccolo schermo nella serie McMafia.

Non ci sono età o senso della decenza che tengano, per quest'artista erotomane che parla come scopa e ama le forme burrose e superabbondanti ma non disdegna nemmeno le magroline, quando l'impulso, che è insieme creativo e sessuale,  lo coglie: il modo in cui sa far sentire ogni donna, anche la più sfiorita e la meno bella, desiderabile e giovane è la dote che lo accomuna al leggendario Giacomo Casanova: un dono naturale, e non un'ostentazione di virilità.

Oltre ad essere il ritratto di un artista e personaggio singolare, Fotograf riesce al tempo stesso a mostrarci la creazione delle sue celebri foto, scattate sullo sfondo della leggendaria parete della sua cantina, a volte dipinte a mano o color seppia, in cui immagini bizzarre e surreali vengono composte da puzzle di corpi e dove il nudo femminile e a volte maschile è al centro della scena. Sono fotografie e dipinti che nascondono sempre una storia, e che la sua protetta e doppelganger riproduce senza talento ma con egual successo, perché, come dice un critico nel film, la mediocrità non fa girare le scatole a nessuno, al contrario della genialità. Tiene testa al bravissimo protagonista la rivelazione Marie Malkova, bella anche con le scarpe più brutte del mondo, credibilissima tessitrice di una ragnatela quasi fatale. Nei suoi momenti migliori il film - non privo di imperfezioni ma capace di catturare lo spettatore senza fargli avvertire la durata di oltre due ore - ricorda il cinema e l'immaginario del grande Ken Russell, e ci lascia dopo la visione con un senso di pienezza e allegria, il che è sicuramente un buon segno.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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