Epic - la nostra recensione del film d'animazione
Il creatore dell'Era Glaciale per un fantasy nel mondo della natura
Mary Katherine, detta MK, non è affatto contenta di vivere con suo padre in una casa isolata in aperta campagna. L'ossessione dell'uomo per presunti microscopici esseri ha causato il divorzio da sua madre, ora defunta. MK capirà sulla sua pelle che il papà non delira, quando sarà miniaturizzata dalla morente regina del Mondo Naturale e catapultata nel mondo infinitesimale dei piccoli abitanti del bosco. La ragazza, alleatasi con l'esercito dei Leaf Men ("Uomini foglia"), sarà fondamentale per salvare la natura dalla minaccia delle tenebre, rappresentata dai crudeli Boggan.
Motore creativo dei Blue Sky Studios, da lui lanciati nell'arena dei lungometraggi in computer grafica firmando il primo Era glaciale, Chris Wedge ha poi diretto nel 2005 Robots, prima di una lunga pausa che lo ha portato ora alla regia di Epic. Lo spirito del creatore (e della voce) dello scoiattolo Scrat affiora qui e lì in alcuni comprimari sopra le righe e surreali, ma il tono generale di Epic non è spudoratamente cartoon. Wedge divide la sua autorialità con un'altra presenza sempre più frequente nell'animazione americana: lo scrittore e illustratore William Joyce, qui nelle vesti di cosceneggiatore, producer, designer e soprattutto ispiratore.
Joyce infatti è autore del libro "Leaf Men and the Brave Good Bugs", dal quale proviene l'esercito di verdi piccoli umani, gli eroi del film. Dopo gli inizi come bozzettista per la Pixar e il lavoro analogo sullo stesso Robots, le qualità grafiche di Joyce hanno iniziato a viaggiare parallele con il suo lavoro di narratore, più improntato al fantasy che alla caricatura.
Proprio come in I Robinson della Disney e nel recente Le 5 leggende della DreamWorks Animation, Joyce usa suggestioni fantastiche o fiabesche come puro sfondo di percorsi interiori elementari: elaborazione del lutto, fiducia in se stessi, e soprattutto la definizione delle proprie responsabilità nel mantenimento di un nucleo familiare, inteso in senso lato. Nel film MK deve credere in suo padre per mantenere una bussola nella sua vita, mentre il giovane affascinante minieroe Nod deve con maturità accettare di mettere il suo talento al servizio del suo popolo.
Wedge non vuole andare sopra le righe più di quanto si faccia in un qualsiasi attuale blockbuster d'azione girato "dal vero": inseguimenti aerei e scene epiche non sono visivamente più frenetici o assurdi di quelli visti in un Iron Man 3. Ora, se si somma questo registro coreografico al registro narrativo di Joyce, si ottiene un prodotto sicuramente accessibile e coinvolgente per il pubblico, che vi si identifica con facilità.
Il rovescio della medaglia è che però la componente fantastica, come accadeva in Le 5 leggende, non suscita la stessa meraviglia di una situazione analoga in un Arrietty dello Studio Ghibli. Ogni elemento viene incasellato in valori condivisi e comportamenti prevedibili, sicuramente solido tappeto per costruire l'azione e l'avventura, ma non per generare lo stupore e l'impennata poetica, che forse dovrebbero nascere da un'esperienza sensoriale e narrativa un po' più lontana dalla rassicurante porta accanto.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"