Enzo Jannacci - Vengo anch'io: la recensione del film documentario sul grande cantante milanese
Presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2023, e poi protagonista di un'uscita evento nelle sale, il documentario di Giorgio Verdelli è ora disponibile in streaming su Netflix. La recensione di Adriano Aiello.
I migliori documentari sul passato sono quelli che finiscono per raccontare il presente. Enzo Jannacci - Vengo anch'io, il film di Giorgio Verdelli su Enzo Jannacci, si iscrive decisamente alla categoria.
I migliori documentari, inoltre, sanno coinvolgere genuinamente. Si può raccontare una personalità come quella di Jannacci senza farsi cannibalizzare dalla sua unicità, che non credo possa dirsi in discussione. Lo si può fare sposando il tono mirabile dell'uomo, la sua metrica sempre in bilico tra passione, scherno e dissacrazione, senza cadere nello storytelling straordinario e ridondante.
Non solo.
I migliori documentari non sono delle cronistorie luccicanti. Non sostituiscono la biografia, ma ambiscono alla polifonia, si perdono nei particolari, corteggiano il disordine. Fanno venire voglia di approfondire, ai più vecchi scatenano la nostalgia. Magari, nel caso specifico, ci spediscono su YouTube e Spotify a rivedere pezzi di cabaret e ad ascoltare con attenzione la musica di un artista di cui ricordiamo spesso le parole e troppo poco la sintassi, che è in larga parte rimarchevole, viste le dote musicali di Jannacci.
Infine, i migliori documentari non hanno ambizioni agiografiche. Vanno a braccio, vivono di piccole cose, spesso degli occhi lucidi di chi rievoca; portano Paolo Rossi in osteria o Roberto Vecchioni in tram e vivono delle emozioni sincere degli intervistati e delle immagini. Che qui presentano anche molti materiali di repertorio inediti.
Jannacci rivive nel film nella straordinaria somiglianza con il figlio Paolo, nei video con Gaber, nel racconto di Dario Fo, Vasco Rossi, Diego Abatantuono, Massimo Boldi, Paolo Conte e Claudio Bisio, ma a rivivere è soprattutto un'epoca irripetibile e impensabile oggi.
La traccia più profonda di Enzo Jannacci Vengo anch'io è la rievocazione di un periodo storico e di un contesto come quello milanese degli anni '60, febbrile e rigoglioso, dove lo spazio per la creatività e la ricerca non sembravano avere confini o per lo meno non appariva tutto assoggettato al mercato, all'autocensura o a una serie di categorie fisse che influenzano la spinta artistica contemporanea, ponendo al centro l'auto realizzazione e il narcisismo.
O, per dirla più prosaicamente e senza retorica passatista, il film di Verdelli ci immerge in una fase della cultura italiana dove l'identità non era statica e la voglia di vivere, sperimentare o anche solamente divertirsi facendo l'alba in un club erano al centro dell'esperienza artistica.
Basti vedere tutto il mondo che si riuniva intorno a Jannacci (Cochi e Renato su tutti), per comprendere come la sua eredità sia tutta qui.
L'eredità di una persona semplice e complessa, introspettiva e istrionica, un dottore cantante che ci ha lasciato decine di grandi canzoni, ma la cui presenza in termini umani sembrava sempre arrivare un passo prima del suo talento e del suo eclettismo.