Elio, la recensione della felice sorpresa Pixar, una fiaba sci-fi che commuove
Leggerete in giro che Elio, nuova fatica Pixar, ha visto un cambio di regia in corso d'opera, con un parziale ripensamento. Dovete però anche leggere del risultato, perché l'abbiamo trovato di una solidità sorprendente, per stile e contenuti stratificati.
Elio Solis è rimasto solo, almeno lui ne è convinto: bambino orfano dei genitori per un incidente, affidato alla zia militare che per lui sta rinunciando al sogno di diventare astronauta, sogna un mondo diverso, sogna di essere rapito dagli alieni. Per una curiosa coincidenza, il Comuniverso, un organo spaziale che riunisce diverse specie aliene, lo preleva sul serio, credendolo il leader della Terra. Al settimo cielo, Elio alimenta l'equivoco, addirittura si offre per mediare la pace col minaccioso Lord Grigon. Diventerà amico del figlio alieno di quest'ultimo, il simpatico Glordon: c'è qualcosa che li accomuna.
Elio è un caso strano e bellissimo. Se siete appassionati di animazione, avrete sicuramente saputo che il lungometraggio Pixar, avviato dall'Adrian Molina di Coco, ha incontrato qualche problema di lavorazione ed è stato posticipato di un anno, con un allargamento della regia alla Domee Shi di Red e alla debuttante Madeline Sharafian, già story artist nella casa (ma autrice del suggestivo corto 2D "La tanta", su Disney+). Come spesso accade negli ultimi tempi, gufare per budget fuori controllo e inciampi è assai diffuso, e se aggiungiamo a queste "cattive aure" la tendenza a considerare la Pixar ormai lontana dal suo momento d'oro, il mix potrebbe essere fatale a Elio. Siamo qui per tentare di evitare che accada, nel nostro piccolo (come facemmo due anni fa con Elemental, dato per spacciato e poi sopravvissuto in reputazione e incassi: incrociamo le dita!). Perché chiunque abbia "aggiustato" in corso d'opera questa storia, si tratti di Shi e Sharafian, degli sceneggiatori Cho-Hammer-Jones o dello story artist supervisore Brian Larsen, ha fatto un lavoro egregio.
L'aspetto più entusiasmante di Elio è la sua fusione organica e disinvolta dei due piani di lettura, quello adulto e quello a misura di bambino o bambina. Siamo di fronte a una vera fiaba sci-fi, dove le sezioni sulla Terra, abilmente riprese e fotografate con un gusto realistico della fotografia e del colore, creano il legame emotivo con il piccolo protagonista e sua zia, cementando con la dolcezza dei dettagli le premesse realistiche, pronte da ribaltare nello spazio. Certo, il team Pixar si è divertito a snocciolare citazioni del cinema di genere che divertiranno gli spettatori più adulti e smaliziati, ma mai a scapito di una fruizione che può anche tranquillamente ignorare gli ammiccamenti. Ciò che conta è che nella sezione "realistica" della vicenda si respira il miglior Spielberg dei suoi viaggi spaziali, tra E.T. e Incontri Ravvicinati.
Poi però arriva lo spazio, arrivano gli alieni... e arriva la grande tradizione animata americana, arriva la Pixar, che lancia a briglia sciolta il production designer veterano Harley Jessup ed esplode in un character design irresistibile, in un Paese delle Meraviglie spassoso. E anche coraggioso. Certo qualcuno si lamenterà di una CGI relativamente "vecchia", non ripensata in chiave pop come quella più moderna e più stilizzata della Sony o della DreamWorks, ma c'è del genio nel personaggio di Glordon. È tipico della Pixar doc alzare la posta espressiva, stupire con la finezza e meno con gli "effetti speciali": Glordon non ha occhi, e la sua efficacia si deve, oltre che al suo ruolo nella sceneggiatura e ad alcune sue uscite da antologia, all'entusiasmo con cui la squadra di animazione ha raccolto la sfida recitativa.
Elio è movimentato, gioca con sentimenti primari come abbandono, amicizia, bisogno di affetto, piccoli sensi di colpa: tutto ciò di cui ha bisogno un bel film per famiglie, toccante dove deve, sbracato quando ci vuole.
Ma che effetto fa Elio a una persona adulta che sappia leggere tra le righe delle battute e dei duetti? Erano anni che non vedevamo una tale concentrazione di tematiche in un'opera Pixar. Il desiderio di conoscere altre forme di vita viene inequivocabilmente legato al superamento della solitudine, tesi verso un'identità da trovare "altrove", lontano da chi non ci comprende. Ma sarà davvero così... o la magia è nella comunicazione franca? Meglio ancora: il film suggerisce che il nostro essere umani dipenda strettamente da questo confronto aperto e dalla ricerca costante di una nostra via. Al punto che, quando nella storia vengono creati (esilaranti) cloni di alcuni personaggi, quello che manca loro non è la capacità di "sembrare" gli originali, ma proprio l'insofferenza verso lo status quo imposto dall'alto. La capacità sofferta di disobbedire, senza rabbia. E se questo vi spingerà a considerazioni su analoghi limiti dell'IA, lasciate che vi entrino in testa: fanno bene. Serpeggia poi l'usuale inno all'infanzia, che incarna naturalmente il sogno che gli adulti come la zia Olga cercano di razionalizzare con un "corso": sono metodi diversi per ampliare gli orizzonti, la necessità è la stessa. Vi consigliamo inoltre di fare attenzione alle scene dedicate alle trattative di pace con Grigon e alle reazioni del Comuniverso alla sua minaccia: il film è stato pensato molto prima che la situazione internazionale degenerasse, e se tra un'angoscia e l'altra vi sono rimaste le forze per qualche risata liberatoria, a denti stretti, usatele. Un film intelligente serve anche a questo.
Domee Shi ha dichiarato che niente di Elio è stato costruito a partire dai temi, ma questi sono scaturiti naturalmente dai personaggi. Forse è per questo che la storia non risulta mai predicatoria, ma spontanea e necessaria, per inquadrare al meglio lo scopo ultimo della piccola grande avventura di Elio: dare alla Terra una seconda possibilità, sognando una capacità di comprendersi che i nostri due piccoli amici trovano nello spazio, ma che è sempre qui, tra di noi. Aspetta solo di essere svegliata.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"