Eden: la recensione del film di Ron Howard con Jude Law che ha aperto il Torino Film Festival

23 novembre 2024
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Un thriller diabolico all'interno della micro società di esseri umani insediati per cambiar vita in un'isola sperduta. Ma anche dramma grottesco e molto altro, sempre in toni cupi. Eden è forse il più inconsueto film di Ron Howard, che ha aperto il Torino Film Festival. La recensione di Mauro Donzelli.

Eden: la recensione del film di Ron Howard con Jude Law che ha aperto il Torino Film Festival

Un oggetto inconsueto nella categoria di un regista, Ron Howard, spesso impegnato a smussare gli angoli e a testimoniare chi ha valorizzato quanto aveva a disposizione per cambiare le proprie vite e quelle altrui con azioni esemplari. Di esemplare, in Eden, c’è invece la cupezza dell’impossibilità degli esseri umani di condividere uno stesso spazio senza il bisogno di prevalere, costi quel che costi. E pensare che i protagonisti erano scappati proprio dall’applicazione sociale del darwinismo e delle ricerca dello spazio vitale, in Europa, all’inizio degli anni ’30, mentre il nazismo stava per demolire l’equilibrio geopolitico attraverso nuovo conflitto mondiale.

Un nuovo spazio vitale lo cercano un dottore che si sente filosofo, Friedrich Ritter (un inquietante Jude Law), insieme a una donna, Dore (Vanessa Kirby), discepola di una visione molto radicale del mondo, compagna di vita ma certo non moglie, ripudiando le etichette convenzionali al punto di rinnegare i valori borghesi in cui sono vissuti, che starebbero corrodendo la vera natura dell’essere umano. Soluzione? Trasferirsi in uno degli angoli più remoti del mondo, l’isola Floreana, nell’arcipelago delle Galapagos, in mezzo al Pacifico. Soli, a parte una biodiversità rimarchevole e qualche animale, per lo più fenicotteri e tartarughe. Un nuovo modello di società? Più che altro un rifiuto della stessa.

Una solitudine che dura poco, però, visto che la loro scelta presto diventa ben nota e popolare in Germania grazie a delle lettere/diario che Ritter scrive e lascia circolare attraverso qualche sporadica nave postare che attracca sull’isola. Ecco allora arrivare Heinz Wittmer (Daniel Brühl) devastato dalle trincee della prima guerra mondiale, con la moglie Margret (Sydney Sweeney, che si esibisce in un parto acrobatico che lascia sbalorditi) e un figliolo con qualche deficit. L’accoglienza è a dir poco gelida, anche se spazio ce n’è per entrambe le famiglie, e proprio mentre a loro modo trovano una maniera per tollerarsi, ecco che arriva a scompaginare tutto l’eccentrica e diabolica baronessa Eloise Bosquet de Wagner Werhorn (Ana de Armas). Il suo piano è semplice tanto quanto incompatibile con le idee dei primi pionieri: costruire un resort di lusso. Per farlo, si porta dietro qualche amante e/o tuttofare per supportarla. A questo punto la lotta per lo spazio vitale sembra tragicamente riproporre, in scala così ridotta da riproporre un esperimento sociale da laboratorio, quanto sta avvenendo nella vecchia Europa.

Eden, paradiso alla ricerca della felicità, quindi. Sembra evidente sia un titolo da intendere ironicamente, ma ci rendiamo conto, ed è la conclusione che fa più rabbrividire di questo stranissimo film, è che per i protagonisti in realtà nasconde una missione di una serietà assoluta. Alcuni per disperazione, altri per febbre ideologica, vivono Floreana senza alcun disincanto ma come ultima e unica possibilità ormai di vita. Se le Galapagos evocano appunto immagini colorate e magiche, nel film di Ron Howard sembriamo precipitati in un bel po’ di gironi danteschi, mentre il film sembra indeciso su quale registro scegliere, fra il thriller di sopravvivenza, il dramma demoniaco e persino la cavalcata grottesca. Permane una temperatura cupa, simbolizzata dal ghigno spietato di un Jude Law senza compromessi.

Affascinato da una storia vera, come ci ricordano una decina di scritte all’inizio e alla fine del film, Ron Howard ha realizzato il suo film più selvaggio e meno civilizzato, rifiutando per una volta il compromesso per inseguire una sua via, anche se sconclusionata. Rimane la capacità di trasmettere l’avvelenamento del mondo in quegli anni, propagatosi attraverso le ferite ancora aperte della guerra, pur da un punto di vista così remoto, rappresentando l’ultimo ideale tentativo di alcuni uomini e donne in cerca di un futuro ormai diventato impossibile, se non come negazione e fuga.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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