Doppio amore: recensione del film di François Ozon in concorso al Festival di Cannes 2017
Il francese vuole fare il De Palma fuori tempo massimo, rimanendo allo stesso tempo sé stesso.
Ebbene sì, è vero.
Dopo aver mostrato il taglio di capelli della sua protagonista - che è Marine Vacth, quella già conturbante di Giovane e bella, qui ancora più erotizzata -, L'amant double si apre con una ripresa dell'interno della sua vagina (sua, o più probabilmente di qualche body double), attraverso uno speculum che pian piano si ritrae, fino a fuoriuscire.
Taglio di montaggio, e via: Ozon mostra il primissimo piano di un'occhio della protagonista ripreso in verticale. Capita l'analogia? Che il sesso è nello sguardo?
Del nuovo film del francese si parlerà moltissimo già solo per questa scena, e non è giusto. Sottolinearla serve però a dare il senso del tono e della maniera un po' furbetta - troppo furbetta - adottati per raccontare, a partire da un racconto di Joyce Carol Oates, una storia alla De Palma senza essere De Palma, ma anzi ricordando a ogni inquadratura di essere François Ozon.
Perché sì, la trama del film è di sicuramente depalmiana, ma dentro L'amant double ci sono tanti dei temi cari al suo regista: il desiderio, il sesso, la frigidità, ma anche il gioco tra realtà e fantasia, e le rappresentazioni mentali e non dei propri mondi interiori.
Però, prima di ogni cosa, prima dei temi e prima della forma elegante e patinata, quasi da pubblicità di un profumo, L'amant double è un thriller erotico e psicologico - anzi, psicanalitico - e come tale va considerato.
Un thriller che, nel 2017, tenta di dire qualcosa di nuovo su un tema antico come quello del doppio, e che non riesce a fare altro che buttarla sul sesso - girato anche benino, eh, ma sai che novità - e sull'ambiguità.
Lasciamo stare che dopo una decina di minuti è già chiarissimo quello che Ozon presenta come il grande ribaltamento che svela il mistero del suo film: il fatto è che se punti fortissimo sull'inganno, sull'ambiguità tra sequenze reali e sequenze oniriche, allora puoi permetterti un po' di tutto, di puoi permettere troppo, e hai vita facile e non troppo rispetto per lo spettatore.
E se si può riconoscere al regista di aver voluto osare, di aver spinto i toni del suo film fino a toccare il camp, a volte anche questo giochino intellettuale finisce con l'andare fuori controllo.
Senza raccontare troppo della trama e delle sue sorprese (reali o supposte), L'amant double parla di gemelli in senso reale e metaforico, nel tentativo di raccontare le ambiguità della natura umana, i caratteri aggressivi e quelli remissimi nascosti dentro ognuno di noi, come dentro di noi son nascosti desideri e pulsioni che non sempre abbiamo il coraggio di ammettere a noi stessi.
Quello che abbiamo dentro, insomma, se non viene tirato fuori finirà col farci del male.
Non è un punto d'arrivo così sconvolgente, e non bastano i mille rimandi psicanalitici, l'ovvia e sfacciata insistenza dei riflessi specchi, vetri e altre superfici, né la bellezza deflagrante di Marine Vacth, a perdonare a L'amant double i suoi eccessi, la sua faciloneria, e un'eleganza formale innegabile un po' vacua e fine a sé stessa.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival