Crash - la recensione del film di David Cronenberg

16 luglio 2020
3.5 di 5

Rivediamo oggi l'opera scandalo del regista canadese David Cronenberg, tratta dal romanzo di James G. Ballard, Gran Premio della Giuria a Cannes nel 1996.

Crash - la recensione del film di David Cronenberg

Nel 1973 lo scrittore britannico James G. Ballard dà alle stampe il suo romanzo più controverso, Crash, in cui estremizza in senso erotico la simforofilia, la perversione che porta a provare eccitazione sessuale in presenza di incidenti stradali e incendi. Nel 1996, David Cronenberg, regista abituato a trasportare al cinema con successo romanzi considerati infilmabili (come il precedente Il pasto nudo e il futuro Cosmopolis), appassionato di auto da corsa e velocità, accetta la sfida e ne trae una versione ancora più discussa, che divide il pubblico e la critica del festival di Cannes, dove viene presentato in concorso e la giuria presieduta da Francis Ford Coppola gli assegna il suo Premio Speciale “per l'originalità, il coraggio e l'audacia”. Nell'occasione, però, Coppola è costretto a precisare che alcuni membri della giuria sono in forte disaccordo con questa decisione. Mentre gran parte della critica, tra cui la nostra Irene Bignardi, definì il film “nocivo”, Roger Ebert, che sapeva guardare oltre, lo descrisse nel modo che ancora oggi troviamo migliore: “È come un film porno fatto da un computer: scarica gigabyte di informazioni sul sesso, scopre la nostra storia d'amore con le auto e le combina in un algoritmo sbagliato. Il risultato è provocatorio, coraggioso e originale: un'analisi dei meccanismi della pornografia. L'ho ammirato, anche se non posso dire che mi sia “piaciuto”.

Cronenberg trasporta la vicenda da Londra alla natìa Toronto, lasciando intatti situazioni e personaggi, anche se toglie per ovvi motivi una parte importante del romanzo: il finale in cui Vaughn, l'artista/fotografo/psicopatico che ha la passione di riprodurre gli incidenti d'auto in cui hanno perso la vita personaggi celebri, da James Dean a Jayne Mansfield, prova a mettere in atto il suo sogno di morte che vede coinvolta l'attrice Elizabeth Taylor. Il romanzo e il film sono visti attraverso gli occhi del protagonista che ha lo stesso nome dell'autore, James Ballard, e nel film è un regista. Rimasto vittima per distrazione di un terribile incidente d'auto con una coppia in cui l'uomo muore, dopo la guarigione Ballard si trova coinvolto – assieme alla moglie con cui condivide un rapporto libero, alla perenne ricerca del piacere sessuale – con un gruppo di persone sopravvissute ad incidenti che ruota attorno a Vaughn, tra cui la moglie della vittima dello scontro di cui è stato causa.

Amante come dicevamo delle auto da corsa e della velocità estrema (è stato anche pilota), profeta della mutazione del corpo e dell'avvento della "nuova carne", un nuovo corpo-macchina in cui si innestano parti estranee (prefigurate ne La mosca, esplorate nel precedente Videodrome e nel futuro e sottovalutato eXistenZ), Cronenberg opta qua per una messa in scena lenta e ipnotica, patinata e "metallica" (la splendida colonna sonora di Howard Shore accentua il senso di straniamento e la sensazione di essere rinchiusi in un ambiente ovattato, quasi un grembo materno) in cui mette in scena un atto sessuale dopo l'altro. Prefigura una pansessualità diventata oggi realtà e in cui la centralità del corpo umano (statuario e sinuoso come la carrozzeria di una Porsche quello di Deborah Kara Unger), diktat degli anni Ottanta, viene esaltata nella sua distruzione. Non c'è differenza tra come viene ripresa la meccanicità del sesso (che ha sempre bisogno di stimoli tattili, visivi e vocali per arrivare al climax) e le auto che ospitano la morte e lo sperma degli affiliati al culto. L'insistenza sulle parole che descrivono gesti, corpi, sapori, odori e umori intimi non sfocia mai nell'appagamento e perfino il finale non è che l'ennesimo atto di una coazione a ripetere che domina i protagonisti rendendoli simili a patetiche marionette.

I temi che Crash affronta sono molti e ancora attuali, ma la scelta della forma stavolta non coinvolge come in altri più viscerali e disturbanti film di Cronenberg, tra cui consideriamo anche il capolavoro Inseparabili col suo inno alla “bellezza interiore”. Crash invece rischia di annoiare, come un porno che diventa oggetto inutile dopo la soddisfazione del suo fruitore. Ci tiene a distanza, rendendoci spettatori passivi di un susseguirsi di morte e amplessi, ferite e violenza che in piccolo rappresentano il mondo oscuro in cui viviamo proprio oggi, 24 anni dopo il film e ben 47 dopo la pubblicazione del libro. Per una volta il regista deve accontentarsi di mostrarci l'esteriorità di personaggi che non sembrano possedere un'anima, eternamente insoddisfatti, sempre alla ricerca di sensazioni estreme che solo il dolore può dare. È un mondo triste e grigio in cui la lamiera contorta, mentre si avvolge intorno alla carne ferita, ci dice quanto siamo schiavi degli oggetti e della nostra tendenza a sessualizzare il mondo intorno a noi. In questo senso Crash è e resta un film profetico, pur non essendo a nostro avviso una delle vette della filmografia del regista canadese, la cui opera è stata a lungo lo specchio oscuro in cui ci siamo - con imbarazzo e orrore - riconosciuti.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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