Colette: recensione del biopic sulla celebre scrittrice francese con protagonista Keira Knightley
Centrale figura per la lotta femminista e il riconoscimento del talento letterario delle donne.
La tentazione è forte, per una volta, di consigliarvi di vedere questo film doppiato. A questo punto, infatti, meglio confondere ogni accento nella quieta anomalia, dalle nostre parti normalità da sempre, di ascoltare voci diverse da quelle originali. A spingerci nell’azzardo è uno di quei casi, non sono infrequenti, in cui si ascoltano dei personaggi parlare in perfetto accento inglese, pur essendo di provenienza ben diversa. Come in Operazione Valchiria, o in tanti film con protagonisti nazisti che solo ogni tanto imprecano in tedesco, lasciandosi guidare per il resto del tempo da un accento british. Come ora in Colette, affresco biografico su una delle scrittrici di cui la Francia è più orgogliosa, femminista e in lotta per il riconoscimento del suo talento, raccontata in un film che potrebbe parlare di una delle sorelle Brontë, non fosse per l’epoca.
La globalizzazione del biopic letterario porta il film di Wash Westmoreland a raccontare salotti, dialoghi ‘so witty’ e battaglie già viste molte volte, perdendo l’occasione di caratterizzare la figura così unica di Sidonie-Gabrielle Colette. Una figura libera, emancipata, femminista che odiava le femministe della sua epoca, sessualmente spregiudicata e aggressiva, oltre che lontana dalla grazia e dalla carineria che sprizza da ogni poro nel film.
Proveniente dalla campagna, arriva a Parigi per sposare Willy, noto imprenditore letterario e seduttore seriale di fama. Davanti a lei appare la società libertina della Belle Epoque in tutto il suo splendore, nonché la possibilità di rendere il matrimonio un’occasione per entrambi di consolidare fama e imporre talento. Claudine è il nome della fanciulla le cui avventure autobiografiche sedurranno la città, con sempre maggior penetrazione, in una serie di romanzi scritti da Colette, ma firmati dal marito, per le convenzioni dell’epoca che non avrebbero permesso una risposta così massiccia a un’autrice donna, per di più con storie disinibite sessualmente. Willy si spinse al punto di prendersi così tanto il merito di quel successo, in pubblico, da indignare la moglie e contribuire al dissolvimento del loro legame (libero) d’amore.
Proprio l’atto di appropriazione, lungo e faticoso, della sua maternità letteraria ha segnato una svolta nel mondo della letteratura al femminile, rendendo Colette un vero mito nazionale in tutta la prima metà del Novecento. Non si limitò alla scrittura, ma si esibì come attrice di music-hall, in cui apparariva spesso nuda, critica teatrale e cinematografica, giornalista. Ebbe tre mariti e un amante, intessendo relazioni sessuali con personalità importanti, donne come uomini. Onorata dalla repubblica con le più importanti onorificenze, tra cui la Legion d’onore, fu la prima donna della storia francese a ricevere funerali di stato.
Una creatura imbizzarrita e anarchica, insomma, che Westmoreland solo in parte riesce a rendere, pur affiancando a Keira Knightley, dalla sua piena di buone intenzioni, un ottimo coprotagonista come Dominic West nei panni di Willy. Esuberante e vittima di una certa paura del conflitto e delle (tante) contrapposizioni e contraddizioni tipiche della vita della sua protagonista, Colette convincerà maggiormente chi conosce poco o niente della scrittrice francese, e apprezzerà gli archetipi classici dell’affresco in costume britannico, così ben recitato e così ben ricostruito.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito