Cloro - la recensione dell'opera prima di Lamberto Sanfelice

11 marzo 2015
2.5 di 5
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Presentata al Sundance e alla Berlinale.

Cloro - la recensione dell'opera prima di Lamberto Sanfelice

Secondo molti il mondo va avanti a forza della collisione, dei contrasti fra forze in gioco. Sicuramente le dicotomie sono importanti oltre che esplicitamente centrali nell’opera prima di Lamberto Sanfelice, studente della New York University e autore nel 2012 del corto Il fischietto, che ha avuto una buona circolazione nei festival internazionali. Una sorte toccata anche alla sua opera prima Cloro, che esce nei cinema italiani dopo aver avuto l’onore di vetrine importanti come il Sundance Film Festival e la Berlinale.

La protagonista è Sara Serraiocco, giovane talento rivelatosi in Salvo, con un nome, Jenny, che qualche tempo fa era sinonimo di tennista, mentre ora è perfetto per una diciassettenne promessa del nuoto sincronizzato. La sua crescita, sportiva e personale, subisce un difficile rito di passaggio quando la morte della madre provoca una seria depressione nel padre che viene licenziato. La famiglia - c’è anche un fratellino - è costretta a lasciare la vita nel litorale romano e adattarsi a vivere in una casupola rimediata dallo zio spersa nei monti della Maiella abruzzese.

L’irruzione della vita adulta, la perdita dell’innocenza di un’adolescente che insegue un sogno, sono prove complesse da superare. Jenny se ne accorge, cercando in cuor suo di non abbandonare del tutto la speranza di poter partecipare con le sue amiche ai campionati italiani assoluti di nuoto sincronizzato.

I luoghi sono protagonisti importanti del processo di crescita di Jenny, abituata alle profondità di una piscina o all’orizzontalità di un lungomare e ora alle prese con le asperità duplici della sua situazione e della montagna. Un percorso che prevedibilmente la segnerà imponendo una crescita prima subita e poi in fondo accettata.

Cloro procede come detto per dualismi: mare e montagna, sogno e realtà, senso di responsabilità e bramosia di libertà, la protezione primordiale dell’acqua che ovatta tutto quello che ci circonda rispetto alla forza di sopravvivere all’esterno, senza protezione, conservando il cloro come retaggio ancestrale. Sono contrapposizioni imposte un po’ schematicamente allo spettatore da Sanfelice, che tesse una trama di superfici riflettenti, di proiezioni geometriche, con uno stile visivo sicuramente interessante, ma con un senso complessivo di meccanicità nello sviluppo della storia e di alcuni dialoghi.

Un elogio lo meritano le riprese subacquee, seducenti tanto da contribuire alla conquista del titolo di miglior film italiano con nuoto sincronizzato visto al Festival di Berlino. È già qualcosa.





  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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