City of Lies: recensione del film con Johnny Depp e Forest Whitaker

28 dicembre 2018
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La vera storia dell'uomo che indagò per tutta la vita sull'omicidio di Notorious B.I.G. ha un suo fascino malinconico ma non sempre è di facile comprensione.

City of Lies: recensione del film con Johnny Depp e Forest Whitaker

Si intitola "Labyrint" il libro che il giornalista di Rolling Stone Randall Sullivan scrisse di getto e pubblicò nel 2002, e che narrava degli omicidi di Tupac Shakur e Notorious B.I.G. e delle indagini inutilmente condotte dal detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles Russell Poole. In quella parola, "labirinto", era già contenuto il succo (o la natura) di un'indagine che definire complicata sarebbe riduttivo, e non solo perché il caso non è mai stato pienamente risolto, nonostante la scoperta dei coinvolgimento del produttore discografico Suge Knight e della corrotta Divisione di polizia Rampart, ma perché gli "attori" coinvolti furono molteplici e la posta in gioco notevolmente alta. E un po’ un labirinto, a essere onesti, sembra essere anche il film di Brad Furman che in due ore prova a raccontare quei lunghi giorni e che insiste sull'ossessione per la verità di un individuo che fino al giorno della sua prematura scomparsa, avvenuta nel 2015, si lasciò pian piano consumare dal senso di sconfitta e di fallimento, e dalle conseguenze di una perdita dell'innocenza professionale.

Il motivo di una simile complessità (che talvolta coincide con la mancanza di chiarezza) risiede forse, e in primis, nella scelta di affidare City of Lies a una struttura narrativa non lineare. Regista e sceneggiatore incrociano infatti passato e presente e si inventano la figura di un giornalista in cerca di riabilitazione che spinge Poole a riaprire un capitolo che sembrava ormai chiuso. In un altro contesto l'idea non sarebbe stata malvagia, ma nel ginepraio di supposizioni che Furman e Christian Contreras si sono trovati ad attraversare sarebbe stato meglio optare per una semplificazione. A meno che abbracciare l'ambiguità non sia per i due un modo per sottolineare l'incertezza che domina le vite dei protagonisti e per subordinare al desiderio che giustizia venga finalmente fatta la scoperta dell'assassino. Se insomma si considera City of Lies come un "film-risarcimento", come il tentativo di restituire dignità a un eroe dimesso, a un uomo integro e testardo, allora l'operazione un suo senso ce l'ha, ed è il senso di un character-movie non privo di un certo fascino, anche se a coglierlo non saranno i più giovani ma chi è già nel mezzo del cammin di nostra vita e avverte inesorabile il passaggio del tempo e la trasformazione delle illusioni in disillusioni.

Vedere Johnny Depp invecchiato da un trucco che non è dei migliori ma comunque invecchiato e soprattutto solo, e osservarlo interagire con un quasi amico (Forest Whitaker) ingobbito e con l'andatura goffa, intenerisce e crea vicinanza ed empatia, oltre che malinconia. Tuttavia il grigiore che avvolge le effimere esistenze di Poole e di Jackson finisce per inghiottire ogni cosa, a cominciare dalle sfumature della recitazione di due fuoriclasse che il cinema lo sanno fare eccome, e che, sì, lavorano di sottrazione, scavando nella vulnerabilità di due looser, ma che stavolta sembrano aver messo il pilota automatico, o essere rimasti in sordina.

E, a ben guardare, lo stesso City of Lies è un film un po’ in sordina, quasi da ogni punto di vista. Imponendosi come un'inchiesta, che non a caso poco si distacca da un libro lungo 366 pagine, non riesce ad avere l'appeal del thriller, ma quel poco di thriller che ha, e che consiste in una continua reinterpretazione dei fatti, purtroppo toglie spazio al buddy-movie, genere che gli sarebbe calzato a pennello. Infine, e questa è la cosa che dispiace di più, la prova d'attore di Depp che negli States nessuno vedrà mai manca di celebrare o comunque raccontare un'epoca gloriosa e vitale del rap USA, anzi afroamericano, sound che fu portavoce di istanze politiche e sacrosante proteste.

City of Lies accenna appena alla rivalità fra East Coast e West Coast, ad esempio, e di quel roboante tempo pre-dominio di nternet che molti rammentano bene evidenzia solo il marciume. Lo fa perché sposa il punto di vista di Poole e la sua delusione nei confronti dei garanti della giustizia, ma paga un prezzo: quello di privare inevitabilmente il pubblico non americano degli strumenti per conoscere una realtà lontana e per captare una crisi nel sistema.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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