Cento anni: recensione del documentario di Davide Ferrario che parte da Caporetto e arriva a oggi
Quattro momenti decisivi dell'ultimo secolo nazionale.
L’anniversario richiamato dal titolo è quello della disfatta di Caporetto, ma Davide Ferrario nel suo documentario Cento anni (al cinema dal 4 dicembre, distribuito da Lab80) è partito da lì per poi coprire questo secolo individuando quattro Caporetto, quattro momenti in cui l’Italia è finita in ginocchio, confidando nella consueta capacità nazionale di dare il meglio proprio in situazioni apparentemente senza via d’uscita. Dopo la traumatica sconfitta diventata proverbiale, seguita dalla riscossa di Vittorio Veneto e la fine della Grande guerra, la Resistenza e il liquidamento dei conti seguiti alla fine del regime fascista, la strage di Piazza della Loggia a Brescia e infine lo spopolamento del sud, con una crisi demografica soprattutto dell’entroterra appenninico. Quattro momenti a cui corrispondo anche quattro stili diversi utilizzati da Ferrario, che conclude dopo Piazza Garibaldi e La zuppa del demonio una sua trilogia sulla storia italiana.
Quella su Caporetto è una collezione di racconti e testimonianze, letti sui luoghi della battaglia, sulla falsariga delle narrazioni di Marco Paolini, presente anche lui nel film. La Resistenza con le propaggini del dopoguerra è raccontata attraverso il caso di Reggio Emilia e la storia famigliare di Massimo Zamboni, autore delle musiche del film e già chitarrista dei CSI. Il nonno Ulisse era squadrista, fascista, poi membro di un direttorio del fascio; venne ucciso da due partigiani, uno di quali anni dopo, a guerra finita, uccise l’altro. Una storia tragica, ma esemplare, che Zamboni aveva già raccontato nel bel libro L’eco di uno sparo. Due storie che rilanciano la domanda: a cosa servono i morti?
Di impostazione documentaristica più tradizionale è la terza parte, sulla strage di Piazza dela Loggia, quella più toccante per la potenza delle testimonianza, per la dignità di parenti e sopravvissuti, che vengono ripresi con primissimi piani e ascoltati nel loro racconto di quella giornata, durante una manifestazione sindacale. La parole che rilancia il presidente dell’associazione famigliari delle vittime sono semplici: capire le ragioni per cui sono morti. Una delle stragi impunite per decenni, una di quelle pagine di scollamento fra cittadini e istituzioni che hanno contribuito anche alle disillusioni di questi anni. Infine un reportage on the road fra Irpinia e Lucania, ascoltando Franco Arminio, un testimone del sud e della spoliazione delle sue ricchezze e dei suoi paesi, diventati simulacri vuoti a causa di generazioni e generazioni di emigrazione.
Cento anni è un inno alla memoria, all’importanza del ricordo tramandato attraverso il racconto orale, delineandolo attraverso le sconfitte, che si ricordano spesso più delle vittorie, e più di quest’ultime incidono sulle generazioni future. Una situazione non solo italiana, se pensiamo al valore di culto della sconfitta di Kosovo Polje per il popolo serbo. Forse la nostra particolarità, in molti campi, è la ricerca del capro espiatorio più facile, invece di un’analisi ragionata che accompagni la storicizzazione delle ferite. Il filo che tiene unite queste quattro pagine suona forse un po’ forzato, ma anche prese una per volta sono efficaci punti di partenza per una riflessione appassionante e profonda; questo è Cento anni di Davide Ferrario.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito