Buoni a nulla: la recensione della commedia di Gianni Di Gregorio
Il regista spolvera le vite di impiegati statali, facendo un film garbato e gradevole.
Al terzo film da regista, il 65enne Gianni Di Gregorio sfodera il consueto garbo che ne fa un autore cinematografico diverso da qualunque altro connazionale. La leggerezza con cui racconta una storia di personaggi abituati a subire l’invadenza di chi li circonda, evoca stili e atmosfere di un cinema europeo che si combinano sorprendentemente con l’ardore di Roma, fuori e dentro il Raccordo Anulare. Per citare un esempio, una tipica espressione come “ma perché nun te fai li cazzi tua” sottolinea l’irrinunciabile identità alla quale il regista non può e non vuole sottrarsi, ma è intercalata con delicatezza in un una sequenza distesa. E soprattutto, non gettata in pasto al pubblico come battuta estemporanea, perché il personaggio che riceve l’invito a farsi i fatti propri è in una fase di recupero della stima personale e la grinta che gli serve, se lo capisce, deve proprio guadagnarsela.
Buoni a nulla è un film capace di dare valore all’aggettivo “superficiale”. È una commedia che resta volontariamente in superficie, non c’è bisogno di scavare da nessuna parte. Semmai spolverare qua e là sulle vite dei personaggi, impiegati statali senza troppi crucci e con in programma qualche ritocco alla personalità. Di Gregorio interpreta un uomo passivo, evita ogni scontro e meno lo si nota meglio è per lui. Un dentista, che ha evidentemente sbagliato laurea, durante alcune sedute più psicoterapeutiche che odontoiatriche gli consiglia di incazzarsi una volta ogni tanto. Male non fa, anzi la salute potrebbe giovarne. La sua prima cattiveria “esplode” nei confronti di un vaso di fiori, colpevole di richiedere tutti i giorni un bicchiere d’acqua. Una scena esemplare per capire l’umorismo del regista, silenzioso ed elegante, non lontano da Jacques Tati che peraltro lo ricorda un po’ anche fisicamente.
In piena sintonia con lo spirito di Di Gregorio si scoprono Marco Marzocca e Valentina Lodovini. Il primo coglie pienamente l’espressività dimessa del suo impiegato, mentre la seconda si trasforma in una seduttrice sirena tanto eloquente nello sguardo, quanto nelle forme. D’altra parte, tutti gli attori coinvolti, anche nei ruoli minori, riescono a mantenere un equilibrio tra il tratto minimale dei rispettivi personaggi e le loro interpretazioni, misurate eppure colorite. E in generale, a proposito di equilibri, Di Gregorio sembra rivendicare il ruolo del “buono a nulla”, una figura capace di centralizzare e assorbire le invadenze altrui e di correggere le derive prevaricatrici nella società. A patto di, una volta ogni tanto, sbottare contro il primo che passa.
- Giornalista cinematografico
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