Broken Rage: la recensione dell'ultimo dissacrante lavoro di Takeshi Kitano
Solo 62 minuti di durata bastano al genio di Takeshi Kitano per sovvertire aspettative e fruizione cinematografica, in un film per Prime Video, dove arriverà il 13 febbraio. La recensione di Daniela Catelli.
Violent Cop, Sonatine, Hana-bi, L'estate di Kikujiro, Dolls e altri ancora, sono i film che hanno giustamente consacrato Takeshi Kitano come uno dei più grandi e singolari maestri del cinema giapponese. Una peculiarità, la sua, che ha finito per nuocergli, visto che la critica lo ha spesso punito per le sue trasgressioni e i suoi film, sia pure ancora presentati nei festival più prestigiosi, restano – almeno in Italia – senza distribuzione (vedi Kubi, in concorso al festival di Cannes 2023, sparito nel nulla). Per una volta dunque ben venga lo streaming, in questo caso Amazon Studios, che ha finanziato e porterà su Prime Video il 13 febbraio il suo ultimo lavoro, Broken Rage, dopo l'anteprima fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Leggendo un po' in giro quello che è stato scritto su questo suo film, colpisce quanto a volte il talento e la personalità di Kitano vengano fraintesi, come se proprio questa sua duplice, enigmatica figura, spiazzasse lo spettatore occidentale, quello che ha amato i suoi film più crudeli e poetici, ma che non riesce a venire a patti col fatto che questo enorme regista e scrittore, capace di deformare i generi dandogli un'impronta personale inimitabile, sia lo stesso che ha conosciuto nel programma della Gialappa's Mai dire Banzai, dove venivano riproposti, ovviamente attraverso il filtro satirico del gruppo, che cambiava anche i nomi dei personaggi, spezzoni del suo celeberrimo gioco Takeshi's Castle.
Cabarettista di umile estrazione ma di grande intelletto, il ragazzo di Asakusa Kitano con Broken Rage dimostra ancora una volta di essere al passo coi tempi e, lungi dal confezionare un triste addio, si immette su una strada sperimentale mai osata prima da nessun cineasta, adeguandosi al diverso medium di riferimento e a un pubblico abituato a commentare tutto quello che vede (esilaranti in questo senso un paio di sequenze che ovviamente non spoileriamo). La storia è nota: il film dura esattamente 62 minuti. Nella prima parte Kitano interpreta un anziano ma ancora efficiente killer della yakuza. I dialoghi, come nei suoi film più seri, sono rarefatti e ridotti al minimo. Incastrato da un testimone, l'uomo, soprannominato Mouse, viene costretto dalla polizia a fare il doppio gioco, infiltrandosi in un'organizzazione criminale per incastrarne il boss. Il piano va a buon fine e Mouse riacquista la propria libertà. Qua parte però lo Spin-Off, ovvero l'azione si ripete uguale ma in forma di commedia slapstick, verbosa e con abbondanza di gag fisiche, giochi di parole e doppi sensi, frenetica quanto la prima era lenta e meditata, a tratti surreale, in cui ogni singolo evento affidato a un Mouse pasticcione e, come si dice a Roma, “intruppone”, viene portato alle estreme conseguenze comiche. E poi, all'ultimo minuto, parte lo spin-off dello spin-off, chiudendo il film su una storia che non parte per ovvi motivi ma che potrebbe anche andare avanti all'infinito.
Piuttosto che ripetersi, Takeshi Kitano col suo alter ego attore Beat Takeshi, decide di sperimentare coi suoi generi di riferimento, spiazzando chi, che convinto di trovarsi di nuovo di fronte ad una storia di yakuza, si trova a ridere come un bambino di fronte a gag (in genere) di ottimo livello, con un ritmo tanto frenetico che alcune rischiano di sfuggirgli. A 78 anni il regista dimostra di non essere affatto rassegnato a lasciar perdere il cinema ma si rende conto che lavorare per lo streaming gli permette di osare quello che a un film destinato alla sala non sarebbe concesso: in fondo anche la durata è un commento satirico ad una tendenza attuale del cinema: quello che oggi molti scelgono di raccontare in pellicole di due ore e mezzo, si potrebbe fare in meno della metà del tempo e con diversi generi e stili. Certo Broken Rage non è un capolavoro, ma è un film che viene voglia di rivedere e dimostra che Takeshi Kitano, pur se appesantito dagli anni e diventato quasi, fisicamente, caricatura di se stesso, non ha perso affatto il contatto col mondo attuale. Per dirla con un vecchio ma sempre efficace slogan: Takeshi è vivo e lotta insieme a noi. Per fortuna.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità