Brivido nella notte, recensione del primo film da regista di Clint Eastwood
Brivido nella notte del 1971 segnò l'esordio alla regia di Clint Eastwood, anche protagonista di un thriller che alterna l'autore che verrà a diverse ingenuità.
Dave Garver (Clint Eastwood) è un dj radiofonico che sogna uno scatto di carriera in un'emittente più grande, e si sta pentendo di aver rinunciato a una relazione stabile con l'affettuosa Tobie (Donna Mills). Acchiappasottane più per paura degli affetti che per vocazione, passa una notte con Evelyn (Jessica Walter), una fan che gli richiede costantemente una canzone ("Misty": il titolo originale del film è infatti "Play Misty for Me"). Mal gliene incoglie: Evelyn è una psicopatica stalker pericolosa...
Brivido nella notte, esordio alla regia nel 1971 di Clint Eastwood, al giorno d'oggi una delle firme più autorevoli del cinema americano di tutti i tempi, è un film affascinante col senno di poi. È facilissimo ritrovare infatti quella particolare capacità che Eastwood ha tuttora di seguire una struttura di genere, col massimo rispetto per le convenzioni dell'intrattenimento, e inserirvi però orgogliosi tocchi personali, fedele a temi e suggestioni a cui tiene. Affiora già una volontà di cercare una certa verità sotto l'obbligo dello stereotipo, perché la rappresentazione dei rapporti uomo-donna per esempio non nega mai un pronunciato aspetto sessuale: al di là della furba dose di narcisismo (furba anche perché l'Eastwood regista sa di dover "vendere" l'Eastwood attore e icona), l'accenno di nudità e l'erotismo che affiora in alcune intimità hanno un certo slancio. Il viaggio di Dave nella scoperta dell'amore reale, passando per una sua deformazione infernale, per due terzi del lungometraggio mantiene una sua efficacia, punitiva e moralistica, ma corretta dall'erotismo di cui sopra. La misoginia notata da molti ci sembra evitata dalla presenza della "positiva" Tobie.
Sul piano tecnico, Clint compie il passo verso la regia meditandolo parecchio, tenendoci, e si vede. Come lui stesso ricorderà decenni dopo, all'uscita c'è chi ironizza sulla strana velleità di questa stella di "passare dall'altra parte" e credersi autore. Don Siegel, che l'ha già diretto in L'uomo dalla cravatta di cuoio, Gli avvoltoi hanno fame e ha con lui appena chiuso La notte brava del soldato Jonathan, forse capisce qualcosa che altri non colgono, facendo da garante e consulente del progetto, fornendo a Clint i suoi collaboratori, arrivando per amicizia a comparire, con tanta autoironia, nei panni del sarcastico barista. Subito dopo, nello stesso anno, dal sodalizio nascerà Callaghan. Nel montaggio Eastwood gioca con Carl Pingitore, si lancia in qualche attacco che spiazza, prova l'editing parallelo sincopato nel climax finale e risolve diverse scene in modo originale (l'avvicinamento di Evelyn nel riflesso dello specchio nel bar, un altro curioso momento sospeso tra incubo e realtà, oppure la liberazione finale, che avviene fuori campo... chi vedrà capirà).
Spiace che però siano proprio questo entusiasmo, questa disinvoltura già innegabile, a far deragliare ogni tanto il film: il trasporto per la musica è evidente, tanto che Clint sposta il copione dall'originale Los Angeles alla contea di Monterey, non solo per raccontare l'America dribblando appunto i soliti stereotipi da esportazione (il che sarebbe encomiabile), ma anche per abbandonarsi, tra il secondo e il terzo atto, a due successive strane parentesi musicali. Una idilliaca e sentimentale tra la suggestiva vegetazione costiera della zona, l'altra praticamente documentaristica durante il festival jazz di Monterey, omaggio a una delle sonorità da lui più amate. Il riavvio della suspense nel finale, quando già il racconto sta diventando ripetitivo, risulta più faticoso proprio a causa di questa frenata contemplativa. Già i titoli di testa tradiscono, con quell'accompagnamento, un divertimento adrenalinico non troppo in linea col registro alla Psycho che il film dovrebbe avere. La rappresentazione della violenza poi non è chirurgica e sottile come sarà in seguito: urla esagerate contro la camera e sanguinamenti, come spesso accadeva in quel periodo, puntano più allo shock che alla trasmissione di una vera ansia.
Certamente però non si può dar torto a chi apprezza nel 1971 Brivido nella notte: le ingenuità pesano molto di più col senno di poi, ma il bicchiere mezzo vuoto di oggi è il bicchiere mezzo pieno di allora. E' assolutamente evidente che qualcuno dietro alla macchina da presa c'è e non passa di lì per caso, tanto che il cast funziona molto bene e Jessica Walter in particolare ottiene una nomination ai Golden Globe per la sua Evelyn fuori controllo. Nel 1971 c'è chi mantiene ancora dubbi su quello che pare il capriccio di un divo, ma la Universal è al settimo cielo: Clint gira tutto il film rimanendo nel cauto milione di dollari di budget pattuito, chiudendo le riprese con quasi una settimana d'anticipo e incassando 10 milioni. Lo lasceranno riprovare nel 1973 con Breezy: la "star" si chiamerà addirittura fuori dal cast. Il "capriccio" era in realtà l'embrione di una vocazione.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"