Blue Moon, la recensione: il potere delle parole, l'assoluto dell'amore e della bellezza, l'amarezza della fine
Richard Linklater racconta con unità di tempo e di luogo il grande e tormentato paroliere Lorenz Hart, interpretato da Ethan Hawke. Un film tutto affidato a un copione da mandare a memoria. La recensione di Blue Moon di Federico Gironi.
31 marzo 1943. Lorenz Hart, uno dei più grandi parolieri della storia della musica, esce disgustato dalla prima di Oklahoma!. E quanto avrà giustamente da ridire su quel punto esclamativo, perché “nessuna opera che si fregia di un punto interrogativo vale il nostro tempo”, e sul suo essere così conciliato: “chi vuole un’arte inoffensiva?”.
Hart, alcolizzato, con problemi di depressione, ha 47 anni. Poco prima lo abbiamo visto collassare sotto la pioggia, nella scena che apre il film, che è ambientata qualche mese prima, e che ci anticipa la sua morte avvenuta quando di anni ne aveva 48, il 22 novembre di quello stesso anno. Uscito dal teatro Hart s'infila da Sardi's, uno dei momumenti di Broadway, il locale dove è di casa, e dove si terrà il ricevimento per quel musical che è la fine di una carriera, per lui, ma è lì che inizia uno spettacolo che è un piacere per le orecchie, il cuore e il cervello.
Parlando con il barista, con un soldato al piano e poi anche con un altro avventore (lo scrittore E. B. White, cui Hart, involontariamente, farà accendere la scintilla che si tramuterà in “Stuart Little”), l'Hart di Ethan Hawke si produce in un monologo/dialogo brillantissimo, irriverente e sensazionale. Che sì, serve a raccontarci il personaggio, la sua esuberanza, le sue bizzarrie e le sue debolezze (l'alcool, la bellezza, il sesso, il suo ego) ma che è uno straordinario atto d'amore per la parola. Chiunque si guadagni da vivere scrivendo, aspiri a farlo, ami la parola scritta e se ne gingilli, dovrebbe mandare a memoria questi 40 minuti folgoranti, brillantissimi, audaci, dove parlando di tutto e di niente Hart non fa altro che omaggiare il suo mestiere e quello di tanti altri.
Hart, inarrestabile, parla di sé, delle sue canzoni, cita Somerset Maugham, Shakespeare, film, canzoni e musical, e parla in fin dei conti di quello di cui parla tutto Blue Moon. Di parole e di amore, dell'eternità, ma anche della fragilità e volatilità, del mistero di entrambi.
Qual è la frase più bella di Casablanca, chiede e si chiede? “Nessuno mi ha mai amato così tanto”, si risponde. “C’è qualcuno al mondo che sia mai stato amato abbastanza?”, aggiunge.
Esaltante, esilarante, straziante e malinconico, Blue Moon - che prende il titolo dalla canzone che Hart dichiara di amare di meno tra le sue - dopo questo inizio folgorante e irresistibile, quando poi arrivano nel locale il gruppo di Oklahoma!, compreso quel Richard Rodgers che era stato il musicista di Hart per un quarto di secolo, e pure l'oggetto dell'amore e del desiderio di Lorenz, Elizabeth, il film inizia a scivolare lungo un versante che lo porta, scena dopo scena, dialogo dopo dialogo, a ritrarre il vitale e struggente patetismo, crupuscolare e decadente, di un personaggio autodistruttivo, logorato dalla perdita di un partner di lavoro (di cui nella vita vera era anche in qualche modo innamorato, lui che nel film si dichiara “omnisessuale”), dalla fine di un'era e di una vita, come dalla drammatica illusione sentimentale che ha covato per amore della bellezza, dell’ideale, dell'assoluto che unisce l'intelletto al sentimento.
“Cosa ci vedrà lei in lui?” si chiede il barista di Bobby Cannavale. “Sa di essere adorata da uno dei più grandi amanti della bellezza”, risponde White.
Linklater è completamente al servizio di una sceneggiatura incredibile, scritta da Robert Kaplow. Mette sullo schermo un film teatrale che ha sostanzialmente unità di luogo e di tempo, ma rimane capace di dettagli visuali di grande intelligenza e sottilissima presenza. Senza mai perdere il ritmo, ma variando la melodia e il tono degli scambi, sei dialoghi e sei monologhi, fa di Blue Moon uno struggente musical senza musica che racconta la limpida purezza e la cupa malinconia di un don Chisciotte che insegue i mulini a vento della bellezza e dell'amore assoluti (ma di certo non casti; almeno non volontariamente), e che va così incontro alla sua fine. Hart, in tutta la sua foga edonista, in tutta la sua arguzia, il suo humor, la sua egomania, e la sua passione, è un personaggio quasi visionario che ha sempre drammatica coscienza dell’illusorietà del suo agire e del suo desiderare, oramai fuori dal tempo, e che nasconde questo dramma dietro un serie infinita di battute brillanti.
E per questo è irresistibile, esilarante, commovente.
Quando alla fine del film Hart tocca il fondo, quando sembra che i colpi della vita cui presta con sprezzante noncuranza l'altra guancia, umiliandosi, quando questi colpi sembrano averlo messo definitivamente al tappeto, eccolo che si rialza, riacquista un barlume alcoolico di dignità, e riprende come niente fosse il monologo che aveva sospeso quasi metà film prima.
Perché, lo sappiamo tutti, con grande amarezza ma the show must go on. Sul palco, al cinema, nella vita. Anche se per poco.
Ecco che allora per Hart è arrivato il momento di far pace con la canzone scelta per dare il titolo a questo film e che quel Sinatra evocato a un certo punto in maniera quasi sprezzante, simbolo di un nuovo che nessuno capisce, farà diventare uno dei suoi cavalli di battaglia, e contribuirà alla sua eternità. Una canzone che parla di lui, di Lorenz Hart. Perché, chi scrive lo sa, in fondo è sempre di sé stessi, che si scrive.
Blue moon, you saw me standing alone
Without a dream in my heart
Without a love of my own
Blue moon, you knew just what I was there for
You heard me saying a prayer for
Someone I really could care for
And then there suddenly appeared before me
The only one my arms will hold
I heard somebody whisper, "Please adore me"
And when I looked, the moon had turned to gold
Blue moon
Now I'm no longer alone
Without a dream in my heart
Without a love of my own
And then there suddenly appeared before me
The only one my arms will ever hold
I heard somebody whisper, "Please adore me"
And when I looked, the moon had turned to gold
Blue moon
Now I'm no longer alone
Without a dream in my heart
Without a love of my own
Blue moon
Now I'm no longer alone
Without a dream in my heart
Without a love of my own
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival