Blood - la recensione del film con Paul Bettany

24 giugno 2013
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L’elemento di maggior interesse di un film come Blood è la sua ambientazione geografica. E non suoni come una critica o un ridimensionamento.

Blood - la recensione del film con Paul Bettany

L’elemento di maggior interesse di un film come Blood è la sua ambientazione geografica. E non suoni come una critica o un ridimensionamento, visto che per lo stesso regista l’isola tidale di Hilbre, sulla punta occidentale della penisola di Wirral, nei pressi di Liverpool, è stata una scelta cercata e di fondamentale importanza.
Al di là delle intenzioni e delle dichiarazioni di Nick Murphy, la natura ambigua e fragile di un luogo del genere, a metà tra vera isola e terraferma, e il costante emergere e sommergere delle sue parti e della sua natura, ci sembra fare perfettamente il paio con una storia dove anche i protagonisti hanno identità ambigue e mutevoli, e dove la verità viene costantemente portata a galla per poi essere insabbiata subito dopo.

Quel luogo aspro e affascinante, battuto dal vento e dalle nubi, ottimamente fotografato da George Richmond, ha poi fornito a Murphy una paletta cromatica ed emotiva con la quale dipingere il suo dramma morale, dando così a Blood un aspetto plumbeo e autunnale, oppresso dalle coscienze nonostante la libertà (sempre negata) delle distese del mare e del cielo: teatro perfetto per una storia di violenze, di omicidi, di reazioni, di (in)giustizie e sensi di colpa.
In questo quadro si muovono bene gli attori protagonisti, tutti solidi interpreti britannici che garantiscono spessore ai patimenti psicologici che li scuotono (Paul Bettany e Stephen Graham) o alla malinconica rigidità che li anima (Mark Strong). È grazie a loro che pesano meno, sul giudizio complessivo, le riserve legate ad una certa piattezza televisiva della messa in scena e quelle che invece riguardano alcuni incerti passaggi della sceneggiatura firmata da Bill Gallagher.

Solido, asciutto e dignitoso, ma un po’ rigidino e poco capace di battere sentieri nuovi, ma anche poco intenzionato a farlo, quello di Murphy è allora un dramma sul peso della colpa, sui legami ingombranti della famiglia, perfino sui limiti e le possibilità della memoria. Convenzionale, ma senza ambizioni eccessive, consapevole forse fin dal principio di non avere l’energia propulsiva necessaria per evitare di rimanere impantanato qui e lì, e destinato a lasciare tracce che svaniranno alla prossima ondata di marea, presenti e reali eppure evanescenti per via del loro inevitabile destino.
Quello stesso destino al quale il protagonista Joe sa, fin dal principio, di non poter in alcun modo scampare.




  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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