Black Bag, la recensione: lo spionaggio come strategia e tattica delle relazioni amorose

14 aprile 2025
4 di 5

Steven Soderberg firma l'ennesimo grande film della sua carriera, un elegantissima e precisissima vicenda di spie, inganni e doppi giochi che in realtà parla di tutt'altro (ma non dimentica la superficie). La recensione di Black Bag di Federico Gironi.

Black Bag, la recensione: lo spionaggio come strategia e tattica delle relazioni amorose

Dentro a Black Bag e ai suoi intrighi entriamo come entravamo dentro il Copacabana in Quei bravi ragazzi: in piano sequenza, seguendo i movimenti del protagonista, che non è l’Henry di Ray Liotta ma il George di Michael Fassbender; non un gangster italo-irlandese-americanp nervoso e sopra le righe ma un britannicissimo agente segreto del SIS freddo e compassato.
George, mastino implacabile, riceve dal suo capo un incarico: qualcuno sta tradendo, qualcuno sta vendendo il software Severus, arma informatica pericolosissima, al nemico e George - che odia le bugie, e ha un talento unico per scoprirle - ha una settimana per scoprire chi sia il traditore. Gli viene consegnata una lista di cinque nomi: tutti colleghi, in un caso un amico. Non è un problema. Il problema è che tra i cinque c’è anche sua moglie Kathryn (Cate Blanchett), anche lei agente dell’MI6. Possibile che Kathryn abbia tradito il loro paese, che abbia tradito lui, che gli abbia mentito?
Ecco, la questione è tutta qui. In un film di spionaggio dagli incastri tanto complessi quanto perfetti, tutto intellettuale, dove la tensione e l'attività cerebrale sostituiscono perfettamente l’azione fisica, dove il tema è la verità in un mondo in cui tutti mentono continuamente a tutti, dove tutti spiano tutti, Steven Soderbergh riesce a parlare - benissimo - di altro: come si fa ad avere una relazione e a farla funzionare, che ruolo hanno la fiducia e quali le menzogne, cosa si è disposti a fare l’uno per l’altra?

In una scena cruciale e piena di tensione, George spiega così a una sua giovane collega, una nella lista, come si faccia ad avere una relazione in quel mondo: “Ognuno di voi sa quello che sa e quello che farà l’altro, quindi non parliamo più di queste cose. Io la osservo, presumo che lei mi osservi. Se è nei guai, anche se li ha creati lei stessa, farò tutto il possibile per salvarla. Non importa cosa questo comporti”.
Una formula radicale e controversa, che traslata e smussata, potrebbe funzionare forse anche nel mondo reale, ma non è questo il punto. Il punto è che in quella scena, durante la recita di questo breve monologo, Steven Soderbergh fa la cosa che fa di continuo, e in maniera tremendamente affascinante e riuscita, nel corso di questo film: inquadrare il volto spigoloso e impassibile di Fassbender, catturando le scintille dei suoi occhi e i (fondamentali) riflessi sui suoi occhiali mentre cerca di arrivare alla verità; registrando una voce che è calma e suadente anche quando procuncia sentenze taglienti o atroci.
Come nella magistrale scena, all’inizio del film, in cui George invita a cena a casa - casa anche di Kathryn, ovviamente - tutti i nomi di quella lista, per iniziare a studiare le loro reazioni, sottoponendoli a un crudele gioco psicologico. Una scena bellissima, per come è girata e fotografata e montata da Soderbergh, per come è scritta da David Koepp.

O come in quell’altra bellissima sequenza in cui George, che ha necessità di ragionare, arriva col suo Land Rover e vestito come un gentiluomo di campagna in riva a un lago, prende una barchetta e si mette a pescare, e Soderbergh ripete per tre volte la stessa elegantissima sequenza di montaggio: lancio della lenza in acqua, primo piano sul mulinello che lentamente viene fatto girare, primo piano sul volto di George, flashback che ci mostra i suoi pensieri. Il tutto si chiude quando nella mente di George appare il volto di Kathryn, si torna su un suo primo piano di disappunto e preoccupazione, qualcosa abbocca ma la lenza si spezza. Metafore.
Come in quell’altra immagine folgorante, quella in cui prima della cena di cui già abbiamo parlato George è impegnato ai fornelli, scoperchia una casseruola per girarne il contenuto e il suo volto viene investito dal vapore. Vapore che appanna inesorabilmente le lenti dei suoi occhiali: e lui, che è abituato a vederci sempre molto chiaro, sa che sta per affrontare un incontro il cui le ombre saranno molte più delle luci. D’altronde, il biglietto del cinema che lo farà sospettare che Kathryn stia mentendo è quello di un film dal titolo “Dark Windows”.

Dal punto di vista formale, Black Bag è pressoché perfetto, di quella perfezione mai sfacciata, elegante ma mai ostentata, di cui è capace Soderbergh nell’uso della macchina da presa, delle luci, del montaggio. Le musiche sono ottime, firmate - e si sente, eccome - dal David Holmes della trilogia di Ocean. Dal punto di vista della trama, si è detto, Koepp ha fatto un’ottimo lavoro, e gli appassionati del genere non avranno di che rimanere delusi. Il cast è inappuntabile, come inappuntabile il naso prostetico di un Pierce Brosnan di livello altissimo.
Ma la questione, si è detto, è un’altra. Che non riguarda solo quella che storicamente, fin dagli inizi letterari del genere, è la vulnerabilità unica e massima perfino delle spie più perfette, il dato umano, il dato sentimentale e amoroso (e George, che gli altri vedono freddo e calcolatore, un computer umano, quel lato invece ce l’ha più di tanti altri), ma che tocca appunto la geopolitica, la strategia e la tattica dei rapporti di coppia. In questo senso, anche, Soderbergh è qui puramente hitchcockiano, Fassbender e Blanchett ricordano i Cary Grant e i Jimmy Stewart, le Grace Kelly e le Kim Novak.
E riguarda quella materia torbida e complessa di cui sono fatte le relazioni, dove la fiducia e l’amore sono qualcosa che ha a che vedere del tutto - ma al tempo stesso assai poco - con la verità e le bugie ("Mi mentiresti?", "Solo se dovessi", è il dialogo che c'è all'inizio e alla fine del film); dove si vede meglio qualcuno con il cuore che non attraverso occhi o lenti, limpide e trasparenti o scure o appannate che siano; dove la penombra - che regna nella casa dei due sposi - vince sulla luce sparata e nitida.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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