Biancaneve e i sette nani, la recensione della rivoluzione firmata Walt Disney

16 marzo 2025
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Nel 1937 si abbattè un vero ciclone sulle sale di tutto il mondo: Biancaneve e i sette nani era il non plus ultra dell'animazione e della tecnica cinematografica, ma anche una sintesi perfetta della filosofia del suo creatore, Walt Disney. Lo recensiamo, ma soprattutto proviamo a contestualizzarlo.

Biancaneve e i sette nani, la recensione della rivoluzione firmata Walt Disney

Quando l'Academy volle premiare Walt Disney per Biancaneve e i sette nani, uscito nel lontanissimo dicembre 1937, creò un Oscar speciale, circondato da sette piccole riproduzioni: non è solo un ameno aneddoto, perché incarna la necessità di riconoscere la particolarità di un UFO che pochi, al di fuori dello studio Disney, riuscivano anche solo a capire. Gli storici vi diranno che questo non è il primo film di animazione mai realizzato, ed è vero: a parte gli esperimenti perduti di Quirino Cristiani degli anni Dieci, c'era stato nel 1923 il muto Achmed il principe fantastico di Lotte Reiniger, realizzato con sagome di carta in silhouette. E proprio nel '37 Ladislas Starevich aveva finalmente sonorizzato la sua stop motion di Una volpe a corte, pur avendola già completata nel 1930. Sono però le eccezioni che confermano la regola: lungometraggio e animazione, in quel frangente storico, non erano imparentati.

Il cartoon in quel periodo, a livello commerciale, era recepito come cortometraggio comico slapstick, una restrizione che a Walt Disney, da quando si era messo in proprio dal 1928, non andava del tutto giù. Anche se le serie dello studio come Mickey Mouse abbracciavano quelle aspettative, Disney aumentò via via la produzione delle Silly Symphonies, serie di corti a tema libero, di natura prettamente musicale e in diversi casi adattamenti di celebri fiabe. Fu dopo l'Oscar nel 1932 per Flowers and Trees, prima produzione disneyana in Technicolor, che la sperimentazione narrativa e tecnica ingranò la quinta, con davanti il traguardo "impossibile": una storia articolata, lunga un'ora e venti minuti, tutta realizzata in animazione. Una storia vera, non concepita solo per ridere, ma anche per commuovere. Per emozionare, come "un film vero". In quegli anni venne creata la Multiplane Camera, per organizzare il movimento di piani indipendenti del fondale. E l'animazione si fece via via più sofisticata, attenta al dettaglio, all' "illusione della vita", l'ossessione di Walt e degli artisti più fedeli alla sua missione: i disegni non dovevano solo veicolare una gag, dovevano trasmettere il pensiero dei personaggi.

Oggigiorno questo pionierismo è quanto di più lontano il pubblico medio identifica nella Disney: altro che cavalcare i soldi sicuri. Impegnare le risorse dello studio in un azzardo commerciale tale, per giunta mentre per tirare avanti bisognava sfornare corti su corti, pareva una farneticazione di grandeur che impensierì una fetta di dipendenti. Mentre la squadra coordinata dal regista supervisore David Hand (che si sarebbe poi occupato di Bambi) faceva le ore piccole e piccolissime, Walt s'indebitava all'inverosimile, per quella che gli addetti ai lavori chiamarono "la follia di Walt Disney": col senno di poi, questo sarcasmo sembrava anticipare ciò che si sarebbe detto dell'apparente delirio di James Cameron, che puntò tutto sul Titanic sessant'anni dopo... e vinse alla stessa maniera. Rimanendo sul paragone con Cameron, alla sua uscita Biancaneve e i sette nani si presentava agli occhi del pubblico come un prodigio tecnico-artistico, una sorta di Avatar nel 2009.

In realtà Biancaneve e i sette nani concentrava tutto ciò che lo studio Disney aveva imparato a fare in quasi dieci anni, presentandolo via via nelle Silly Symphonies, elevandolo però all'ennesima potenza. Partiva da un racconto comprovato, una fiaba dei fratelli Grimm, la condiva con la forza di una caratterizzazione iperdefinita (ciascuno dei sette nani ha una personalità e una grafica a sé), con un pizzico di horror espressionista nel personaggio della Regina / Strega, e la serviva sotto forma di musical, uno dei generi più popolari in quell'epoca. Perché Biancaneve e i sette nani è un musical anche quando non si canta: come in tutti i cartoon brevi della Golden Age dell'animazione americana, quasi ogni movimento, anche il più banale, è una coreografia su una musica "onomatopeica", che a volte si sostituisce perfino agli effetti sonori.
Biancaneve e i sette nani era allo stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza. I concorrenti fratelli Fleischer non erano stati da meno nell'inseguimento della tecnica e delle nuove proposte distributive: Braccio di Ferro incontra Sinbad fu nel '35 un altro grande virtuosismo in Technicolor con una prima azzardata durata di 16 minuti, ma nemmeno i Fleischer potevano immaginare cosa sarebbe arrivato a osare Disney, rischiando capitale e reputazione. Voleva cambiare il modo in cui il pubblico mondiale guardava l'animazione.

Ma il cuore di Biancaneve e i sette nani non è nella sua perfezione tecnica, peraltro relativa: la triade successiva Pinocchio-Fantasia-Bambi smussò anche le rimanenti incertezze che si intravedono qui, confermando che appunto questo film sia anche un punto di partenza. La sua programmatica viscerale ingenuità, nel trasmettere dramma, pericolo, umorismo, tenerezza, suspense, non è una scelta opportunistica: Walt Disney era un anti-intellettuale, non si riconosceva nei contenuti sofisticati, puntava alla chiarezza totale. "Non pensiamo agli adulti, non pensiamo ai bambini. Ma solo a quel luogo bello, pulito e immacolato nel profondo di noi, che magari il mondo ci ha fatto dimenticare", ebbe a dire Walt. Quasi novant'anni dopo, è abbastanza normale che sette minatori nani trattati come bambini disturbino un po', ed è normale che la sensibilità della società cambi, sarebbe inquietante se non lo facesse. Allo stesso tempo Dotto, Cucciolo, Brontolo, Eolo, Mammolo, Pisolo e Gongolo, se facciamo lo sforzo di osservarli da un punto di vista puramente metaforico, sono il veicolo perfetto di quel concetto di "bambino interiore", sono adulti eppure bisognosi di coccole, come gli spettatori e le spettatrici di fronte a un film materno.

Perché è lì la forza del film, che riesce ancora a commuovere, scavando sotto decenni stratificati di disincanto storico, sociale e cinematografico. Biancaneve trova la casa dei nani, nota le sue pessime condizioni e, sempre sicura di guardare una casa abitata da bambini, si spaventa: "E se non avessero una mamma?" E la rimpiazza subito, per loro e quindi per noi, che non siamo perfetti ed eterei come Biancaneve, ma siamo rassicurati dalla sua esistenza. Con l'occhio attuale le divagazioni musicali e comiche rallentano in effetti il ritmo di una vicenda che sta persino larga in un'ora e venti, eppure viaggiano sottotraccia nel farci passare del tempo nel "luogo pulito e immacolato" di cui sopra, sporcato da una mela avvelenata. Questo film vanta molti primati, eppure il più importante sono le lacrime che scesero e scendono nel pubblico, quando i nani vegliano il quasi-cadavere di Biancaneve. Attenti: piange persino Brontolo. Soprattutto lui, perché quello che molti chiamano "buonismo" è una necessaria compensazione del male e della sfiducia. Ti rendi conto quanto ti manca quell'illusione di aproblematicità, solo quando ne perdi la fonte.

Se tutto questo suona scontato nell'animazione oggi, non bisogna credere che lo fosse nel 1937. Conta più farsi toccare da questo cuore ancora pulsante del film, che apprezzarne le pur spettacolari animazioni con tutte le vette mimiche, le canzoni leggendarie ("Impara a fischiettar", "Ehi-ho!", "Il mio amore un dì verrà"), i movimenti di macchina, il montaggio parallelo, il crescendo visionario della fuga nella foresta, la metamorfosi della Strega nel laboratorio. Poi, se ci rimane ancora la voglia di quantificare, possiamo anche chiudere il discorso con l'elenco dei famosi primati. Siete pronti? Biancaneve e i sette nani è il primo film di animazione americano, il primo film animato in tecnica tradizionale a colori e sonoro, il primo lungometraggio hollywoodiano con colonna sonora venduta separatamente. Nel 1993, è diventato il primo film in assoluto a ricevere un restauro in 4K, con digitalizzazione e ripulitura completa di ogni fotogramma. È l'onda lunga delle grandi sfide.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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