Belfast: la recensione del film autobiografico di Kenneth Branagh
Con lo schermo della fantasia, Kenneth Branagh ricorda la sua infanzia nella tormentata Belfast degli anni Sessanta in un film bello e fatto con molto cuore, anche se a volte un po' lezioso. La recensione di Daniela Catelli.
Un artista, quando decide di confrontarsi con la sua infanzia, rispetto a noi comuni mortali ha il vantaggio di poterlo fare pubblicamente, trasfigurando i suoi ricordi con lo strumento che usa per esprimersi. Steven Spielberg ce ne racconterà qualcosa nel suo prossimo film e Kenneth Branagh ha scelto di farlo a modo suo con Belfast, vincitore del premio del pubblico al festival di Toronto all'Heartland Film Festival di Indianapolis e a quello di Middleburgh in Virginia, presentato con successo alla Festa del cinema di Roma. Classe 1960, Branagh aveva l’età del vivace protagonista che lo rappresenta quando viveva nella capitale nord irlandese, dove è andato alle elementari, ha vissuto il primo amore e i sogni, pur se immerso suo malgrado nel caos dei “troubles”, l’inizio del conflitto tra protestanti e cattolici che agli occhi di un bambino diviso tra i sermoni minacciosi di un pastore e le confuse nozioni in materia appariva a dir poco nebuloso.
La carta vincente di Belfast sta proprio qui: nel raccontare attraverso lo sguardo del se stesso bambino all’età di 9 anni un periodo della vita felice per antonomasia, a prescindere da tutto il resto. Circondato dall’amore della sua famiglia, soprattutto dei nonni, e confuso dalle liti per problemi economici tra i genitori giovani, belli e carismatici ma soprattutto innamoratissimi, il piccolo Buddy del film da grande arriverà a comprendere, come molti altri irlandesi, costretti a lasciare il proprio paese per cercare una vita migliore e più pacifica in Inghilterra (vista come un paese razzista e lontano), che la strada in cui vive e le persone che ha conosciuto e amato nei suoi primi anni gli sono rimasti per sempre accanto, molto tempo dopo essersene andati.
Belfast è puro Branagh, nel bene e (per chi non lo ama) nel male. Vale a dire è un film realizzato con grande amore e perizia tecnica, entusiasmo e allegria: si percepisce anche nei suoi momenti più drammatici una gioia nella narrazione che avrà sicuramente contagiato gli attori e la troupe. A chi scrive, Branagh è sempre stato umanamente simpatico e ci piace come attore, anche se come regista non sempre ci ha convinto. Anche in Belfast qua e là si coglie, pur nella bellezza di un bianco e nero che ci riporta indietro nel tempo, qualche piccola furberia. Non mettiamo in dubbio (e ci commuoviamo anche un po', essendo più o meno coetanei del regista) che in casa Branagh si guardasse Star Trek in tv, e che al cinema ci si divertisse con Citty Citty Bang Bang e Un milione di anni fa con Raquel Welch. Ma che il piccolo Buddy leggesse i fumetti di Thor ci sembra più un pensiero retroattivo, una strizzata d'occhio per rendere chiaro al pubblico che sì, si parla proprio di lui.
Con i suoi meravigliosi attori e la ricostruzione di un periodo storico davvero in bianco e nero, diviso in contrasti feroci, lacerato da guerre di religione (quanto poco sembra cambiato, da allora!) e di un ambiente che si concentra su una strada coi suoi abitanti e i suoi immediati dintorni, Kenneth Branagh firma una dichiarazione d'amore ad un paese, al cinema e soprattutto alla sua famiglia, a tutti coloro che non si sono arresi alla violenza e hanno avuto la fortuna di poter cercare altrove una vita migliore e pacifica. Se è un enorme piacere assistere agli affettuosi duetti tra i nonni, interpretati dal sempre ottimo Ciaràn Hinds (invecchiato per l'occasione, visto che ha quasi 20 anni meno della sua partner) e da Judi Dench, è perfetta anche la coppia rappresentata da Jamie Dornan (un attore bravissimo che torna qua ai suoi livelli migliori) e Catriona Balfe. Ma è soprattutto il piccolo Buddy, con quel sorriso e quello sguardo vivace, a farci innamorare di un film che è forse a tratti un po' lezioso, ma ha dalla sua una sincerità e un entusiasmo capaci, come si è già visto, di conquistare il pubblico di tutto il mondo.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità