Being the Ricardos, la recensione: il miglior film di Sorkin da regista, con una Kidman bravissima
Aaron Sorkin torna dietro la macchina da presa per raccontare due veri e propri miti americani come Lucille Ball e Desi Arnaz. Protagonisti, Nicole Kidman e Javier Bardem. Il film è in streaming su Amazon Prime Video. La recensione di Federico Gironi.
Una serie televisiva di enorme successo, oggi, può fare negli USA quindici milioni di telespettatori. Esagerando. I Love Lucy, che in Italia conosciamo come Lucy ed io, di milioni ne faceva sessanta.
La puntualizzazione Aaron Sorkin la mette in bocca ad un anziano Jess Oppenheimer, che di quello show che ha fatto la storia della tv in America e nel mondo era produttore esecutivo e capo sceneggiatore. Un anziano Oppenheimer finto, che in Being the Ricardos appare di tanto in tanto, come in un documentario, assieme ai suoi sceneggiatori Madelyn Pugh e Bob Carroll Jr., per commentare e approfondire la storia di Lucille Ball e suo marito Desi Arnaz. La storia di questo film.
A che serve ricordare il successo straordinario di I Love Lucy?
A spiegare qualcosa ai tanti che magari quella sitcom da cui tutte le altre sitcom sono nate, non l'han mai sentita nominare. A dare un contesto. Ma, anche, e forse soprattutto, a dare un'idea di quanto critica fosse quella settimana che Sorkin sceglie e racconta per raccontare una vita intera dei suoi due protagonisti: di quanto ci fosse in ballo, e di quanto, anche di fronte a un successo di tale portata, pesasse l'accusa rivolta a Lucille. Essere comunista.
E però. Però Being the Ricardos non è in realtà un film che parla di quello. Non parla del maccartismo, se non contestualmente. Parla di una tempesta perfetta (alle accuse di comunismo, sono da aggiungere le presunte infedeltà di Arnaz che occupavano le pagine dei tabloid, e il fatto che la coppia stesse aspettando un bambino) che rischiava di far colare a picco quella corazzata televisiva, e la vita di chi l'animava.
Una tempesta perfetta che Sorkin, da squisito drammaturgo qual è, utilizza per far esplodere non solo il racconto della relazione tra Ball e Arnaz, ma anche tensioni latenti e conflitti in ogni dove, trasformando il set di I Love Lucy, i camerini, i corridoi della produzioni (percorsi incessantemente nel consueto, meraviglioso walk & talk) in un campo minato nel quale, però, più che esplosioni distruttive si sprigionano scintille capaci di aprire varchi di inediti confronti, nuova comunicazione e profonda umanità.
Lucille ha paura di perdere il suo pubblico e il suo show, certo. Ma ancora di più ha paura di perdere il marito. Di veder andare fallito un matrimonio.
La tensione che è costretta a vivere la spinge ad essere ancora più spietata e puntigliosa sul lavoro, lei che non aveva solo un innato talento comico ma, racconta Sorkin, era una donna di carattere e visione. Desi teme anche lui per lo show, e per il rapporto di coppia, ma ancora di più per il suo ruolo di maschio alfa.
Poi ci sono i loro co-protagonisti, William Frawley e Vivian Vance, che devono gestire le loro personali insoddisfazioni, e poi gli sceneggiatori, i produttori, i broadcaster, gli sponsor. Tutti di fronte a una crisi, tutti pronti a tirar fuori dal sacco quel che si erano tenuti dentro a lungo. Troppo a lungo.
Grazie alle dinamiche tra questi protagonisti e questi comprimari, Sorkin - che il mondo della tv lo conosce come le sue tasche, come conosce Hollywood, e i giochi di ruolo e di potere, e la natura umana - mette in scena un racconto che mostra le ombre e l’oscuro che si celano dietro lo scintillio dei riflettori, e che tocca moltissime questioni. Alcune, certamente, interne dell'industria dello spettacolo, ma molte, le più importanti, riguardanti il ruolo femminile: in quel mondo lì e nella coppia.
Being the Ricardos racconta esplicitamente come Lucille - che una bravissima Nicole Kidman interpreta ricordando a tratti, e non casualmente, Katherine Hepburn - fosse la parte forte della coppia, la vera anima creativa dietro al loro show, quella col talento necessario per arrivare lì erano arrivati e soprattutto di imporre che al suo fianco ci fosse suo marito. Non tanto per dargli un lavoro, ma perché fossero insieme, anche se in una casa finta, su un set televisivo.
Ma Lucille, racconta il film di Sorkin, doveva fare tutto questo lasciando che Desi e il mondo tutto credessero che il capofamiglia fosse lui. Lui, quello che porta i pantaloni. E quando, sotto pressione, sale in cattedra smettendo la maschera, Lucille rischia di far più danni di quanto Desi e il resto del team possano sopportare.
D'altronde lei, al contrario di Madelyn Pugh, non ha alcun interesse a modificare l'immagine della donna presso il suo pubblico, andando incontro a una modernità imminente, al femmismo nascente. A Lucille basta la consapevolezza di sé stessa, sapere come stan realmente le cose. Basta avere al fianco un uomo - un uomo fedele - anche a costo di mettersi, se così si può dire, in secondo piano e rimanere nei panni della moglie.
Non è un discorso politico, non c'è da indignarsi. È un discorso umanista. Pragmatico.
È quel che voleva Lucille.
Sorkin non sarà ancora un grandissimo regista, ma da dietro la macchina da presa Being the Ricardos è il suo miglior film a oggi. Migliore di Molly's Game e migliore di Il processo ai Chicago 7, che pure erano i bei film che erano. Forse perché la familiarità con quel mondo lo ha aiutato, forse perché migliora con l'esperienza, forse perché in Being the Ricardos ha trovato l'equilibrio ottimale nella suddivisione temporale e nei ritmi della messa in scena. Di sicuro, si conferma un ottimo regista di attori, alla guida di un cast che non ne sbaglia una. E oltre ovviamente alla Kidman, a Bardem, e a tanti altri, una menzione la meritano di sicuro Alia Shawat (interprete di Madelyn Pugh) e un gigantesco J. K. Simmons nei panni di William Frawley, cui Sorkin regala un paio di scene da applausi a scena aperta (tra cui quella in cui si confronta con Lucille sul suo mettere in ombra Desi).
Gli stessi applausi che Sorkin merita per i dialoghi - che nessuno al mondo oggi scrive come lui e che sono all'altezza di quelli dei grandi sceneggiatori della Hollywood degli anni d'oro - e per quei brevi monologhi che qui, con grande autodisciplina, contiene in durata, ma non in intensità, rispetto ad altri film che ha scritto.
Poi certo, Being the Ricardos è un film squisitamente sorkiniano, che porta impresso il suo marchio, che è inconfondibile. Un film nel quale tutti, in qualche modo, parlano e pensano come lui.
Per alcuni è un difetto. Per me, un pregio. A tratti, perfino un auspicio: perché di quella brillantezza e di quell'intelligenza il cinema di oggi ha un enorme bisogno. Se poi ne arrivasse un pizzico anche nelle nostre vite, male non farebbe.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival