Beautiful Boy: recensione del dramma di Felix van Groeningen con Steve Carell e Timothée Chalamet

21 ottobre 2018
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Presentato alla Festa di Roma 2018 racconta del rapporto fra un padre e un figlio tossicodipendente.

Beautiful Boy: recensione del dramma di Felix van Groeningen con Steve Carell e Timothée Chalamet

Il terrore più grande di ogni genitore è quello di vedere il proprio figlio soffrire senza poter fare nulla per aiutarlo. Un rapporto, quello fra padre e figlio, centrale nel cinema degli ultimi anni, anche negli Stati Uniti, che nella stagione che si apre sembra declinarsi in molte occasioni - sarà lo spirito del tempo - nel rapporto fra un figlio tossicodipendente e un padre disperatamente alla ricerca di un modo per aiutarlo a uscirne.

Succede anche in Beautiful Boy, esordio in lingua inglese per Felix Van Groeningen, il regista belga lanciato da Alabama Monroe, nominato all’oscar sei anni fa. Una storia ispirata da due libri di memorie, quello del padre David Sheff, ripreso nel titolo, e quello del figlio, Nic, che suona semplicemente Tweak; sottotitolo: crescendo con le metanfetamine. A interpretarli Steve Carell, ormai sempre più indirizzato verso una carriera convincente nel cinema non solo comico, e l’astro nascente Timothée Chalamet, giustamente incensato per l’eccellente performance in Chiamami col tuo nome.

Beautiful Boy è ambientato nella costa solare della California, soprattutto intorno a San Francisco e con qualche incursione più a sud, a Los Angeles, dove abita la prima moglie di David, madre di Nic. Un luogo sereno, una casa tutta di legno e piena di libri e quadri disegnati dalla nuova compagna del padre, ad accompagnare un’infanzia serena, quella del bel bambino Nic, sommerso d’amore dal padre, che adora e al collo del quale si getta per cercare calore in ogni momento importale della sua vita di bambino molto sensibile e presto affascinato dai libri, dalla scrittura e dal disegno. Un’adolescenza da amante del rock più crepuscolare, del resto non molti anni prima c’era stata l’eplosione, un po’ più a nord, del grunge. Anche i suoi gusti letterari contribuiscono a coltivare le paure e gli istinti, connaturati a una fase di crescita, “quella del recluso e dell’isolato” che “presto finirà”, come gli dice il padre quando si rende conto per la prima volta del suo consumo di droghe. “Mi piacciono”, è la sua spiegazione. Ha provato di tutto, dalla prima sbronza a 11 anni alle canne, all’inizio cercando la condivisione con il padre, “che tanto so che all’età tua te ne sei fumate”. Per passare però, presto e volentieri, alla cocaina, all’ecstasy, diventando dipendente da eroina e soprattutto dalla nuova arrivata di quegli anni, la più pericolosa di tutte, la crystal meth, la regina “quasi perfetta” delle metanfetamine.

Come superare il trauma di vedere il bambino dolce e intelligente trasformarsi nel tossico che, prima non si iscrive all’università, poi lo fa cadendo in tutti i tranelli della vita da solo in città? Van Groeningen insiste in continui intrecci temporali, viaggi indietro e in avanti che ci conducono in un racconto labirintico che copre alcuni anni. Il viaggio, però, è quello del padre David, è il suo il nostro punto di vista, il punto d'ingresso in questa storia. Per smetterla di venire svegliato con terrore dallo squillo del telefono in piena notte, cercherà di applicare gli strumenti del suo mestiere di giornalista per compiere un vero reportage nella mente e nella quotidianità di un drogato, cercando di mettersi nei panni del figlio e intuire cosa possa provare. Un percorso che lo spinge addirittura, in un passo evitabile e fuori luogo che il film ci racconta, a provare questa maledetta droga.

Frammentario e dispersivo, Beautiful Boy avrebbe degli ingredienti sontuosi, ma purtroppo il risultato finale rimane un po’ sottotono, cerebrale e raffreddato, sempre a una certa distanza emotiva. Non ha probabilmente aiutato la scelta di raccontare troppe tappe, finendo per non approfondirne veramente nessuna in pieno. Rimane un film onesto, che evita molti dei rischi del cinema sulla dipendenza, aiutato dalle interpretazioni molto convincenti di Steve Carell, mai sopra lo spartito, e di Timothée Chalamet, alle prese con un ruolo complicato come quello dell’addicted.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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