Battleship - La recensione del film
Con il primo disaster-movie di questo 2012, la Universal si augura un buon centesimo compleanno spulciando nel catalogo giochi della compiacente Hasbro, in cerca di un altro franchise di garantito successo universale. Ed ecco che dallo scaffale, stavolta, viene rispolverato un tranquillo e conosciutissimo gioco strategico da tavolo, Ba...
Con il primo disaster-movie di questo 2012 dalle nefaste premesse, la Universal si augura un buon centesimo compleanno spulciando nel catalogo giochi della compiacente Hasbro, in cerca di un altro franchise di garantito successo universale, come Transformers e G.I.Joe. Ed ecco che dallo scaffale, stavolta, viene rispolverato un tranquillo e conosciutissimo gioco strategico da tavolo, Battleship appunto (il nostro Battaglia Navale), che neanche nei momenti di partita più avvincenti avremmo immaginato poter diventare cosi devastante. Ma noi infatti non lavoriamo a Hollywood. Altrimenti (come è successo al regista Peter Berg e agli sceneggiatori Jon e Erich Hoeber) sarebbe stato più facile immaginare una battaglia a colpi di cacciatorpedinieri contro una nuova minaccia aliena, proveniente da un pianeta simile al nostro e attirata sulla terra da un esperimento scientifico americano perfettamente riuscito.
Idea supportata dalla reale (anzi presunta tale) scoperta scientifica dei cosi detti Goldilocks planets (avvenuta in un osservatorio delle Hawaii nel 2010, ad opera dell’astrofisico Steve Vogt). Questa rende plausibile l’esistenza di pianeti, in galassie raggiungibili con segnali satellitari, dalle caratteristiche atmosferiche compatibili con una qualche forma di vita. E quindi via coi tentativi di comunicazione. Ma, per dirla con il giovane scienziato, un po’ menagramo, di base all’osservatorio Hawaiano e interpretato da Hamisch Linklater, “se dallo spazio si accorgessero di noi, sarebbe come l’arrivo degli spagnoli per gli indios delle Americhe, solo che noi saremmo gli indios!”.
Infatti, senza alcun motivo, se non forse per il fastidio di essere tediati dai ripetuti richiami terrestri, gli alieni rispondono, privi di ogni forma di diplomazia intergalattica (dimostrata da altri colleghi extraterrestri di maggior spessore), fiondandosi negli abissi dell’oceano pacifico, intenzionati a mettere a ferro e fuoco quello che si trovano davanti.
Per prime tocca alle flotte della marina militare, riunite nell’annuale esercitazione internazionale, nell’oceano pacifico che circonda le Hawaii.
Nella formazione d’attacco di super esperti in action movie, oltre ai due produttori di Hasbro Brian Goldner e Bennet Schneir, anche Scott Stuber (che da poco ha archiviato la produzione del thriller Safe House- Nessuno è al sicuro) e Duncan Henderson (veterano di produzioni in mare aperto come quelle di Master and Commander e de La tempesta perfetta). Tutti armati, con un Peter Berg al massimo delle proprie aspirazioni cinematografiche, dall’esplosivo intento di un divertimento senza limiti, per un risultato che invece di limiti ne mostra un po’ più del previsto.
A bordo di navi da guerra iper-tecnologiche, cariche di bombe di testosterone rinforzate da musica “tosta” e partite di football sudate, agiscono marines che grondano, anche più di quanto si concede al genere, onore e tracotanza. Il primo è il comandante Alex Hopper (Taylor Kitsch), “testolina calda” che ha il tempo del film per redimersi a tutti i costi, mostrare umiltà, salvare il mondo e, cosa più difficile, sposare la figlia dell'ammiraglio Liam Neeson. Gli altri del cast lo seguono, ma hanno imparato troppo la lezione “del sangue freddo dei marines” e agiscono come robotizzati senza un accenno di umanità, fatta eccezione per Alexander Skarsgård che un po’ d’anima ce la mette. Si soffocano così le premesse del kolossal intraviste nella prima parte del film, anche se giocose. Come il fortissimo impatto visivo degli effetti speciali e della tecnologia aliena; l’ampiezza delle scene in mare aperto; l’accattivante idea di assistere ad operazioni strategiche che solleticano il ricordo del famoso gioco (come la scena in cui il comandante giapponese mostra come usare le boe-anti tsunami, e visualizza un campo di battaglia niente male); e ancora, quell’umorismo stra-visto, ma giustificato, che invece sfugge di mano diventando, non si sa quanto volontariamente, parodia.
Peter Berg, ben lontano dall’ironia cinica delle sue prime Cose molto cattive, sarà contento - vista la passione che nutre per essa - di aver compiaciuto l’intero corpo della marina statunitense, che si vede in rispolvero anche i pezzi da museo. Alieni affondati. Il genere umano è salvo ancora per qualche mese; ma gli indios pre-colombiani gridano ancora vendetta.