Barbarian: la recensione del film horror

02 maggio 2024
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Debutta oggi in streaming su Netflix l'acclamato film horror di Zach Cregger che vede protagonisti Georgina Campbell, Bill Skarsgård e Justin Long. La recensione di Barbarian di Federico Gironi.

Barbarian: la recensione del film horror

Una delle tendenze più chiare e evidenti del cinema contemporaneo, di genere e non, è di sicuro quella di realizzare film che in maniera più o meno smaccata, fanno del sottotesto e del sottinteso - sottotesti e sottintesi ben chiari, definiti e messi a fuoco - la componente più centrale e, paradossalmente, evidente del film. Barbarian è chiaramente uno di questi film: un film che usa un genere (l’horror) e una trama (quella che parte da due persone che si ritrovano a dover condividere la stessa casa per via di una doppia prenotazione su piattaforme online) per raccontare una storia che, sotto quella superficie, affronta una questione altra (in questo caso, una questione legata al ruolo del maschio e del maschile, e la violenza patriarcale, e tutti quelle cose lì).
In questo, Barbarian potrebbe essere associato, in un ideale double bill, a Men di Alex Garland, che per l’appunto utilizzava lo stesso genere per affrontare le stesse questioni. A intenti e conclusioni simili, però, corrispondono film molto diversi, non tanto dal punto di vista, sempre soggettivo e opinabile, della “qualità”, quanto da quello del rapporto col genere stesso e col cinema in senso ampio.
Se Garland finiva con l’essere vittima di un’estetica e di un messaggio, e stabiliva un rapporto conflittuale con folk horror che riprendeva e omaggiava, questo film scritto e diretto dal’americano Zach Cregger ha un approccio più ludico e postmoderno, e questo contribuisce a far sì che il messaggio del film - che pure è chiaro e forte, anche troppo - non arrivi mai a rosicchiare la superficie dell’intrattenimento, fermi restando tutti i suoi limiti in quel senso.

Cregger parte da uno spunto banale ma ben gestito: in un quartiere periferico della Detroit post-default (che pure ha i suoi significati metaforici, e che spesso è stata di recente teatro di storie horror o quasi horror), una ragazza di nome Tess (Georgina Campbell) scopre che nella casa da lei prenotata online c’è già qualcun altro: un qualcun altro di nome Keith, che sembra gentile e premuroso, ma che ha i tratti inquietanti, capaci di aprire squarci di ambiguità nei suoi gesti e nelle sue parole, di Bill Skarsgård.
I due s’imbarcano in una serie di avanzamenti e arretramenti che danno vita a una strana danza carica di suspense, ma a quel punto Cregger apre - letteralmente - la prima delle tante porte che, nel film, condurranno protagonisti e spettatori dentro realtà nuove e diversamente spaventose. E non solo l’esplorazione dei nuovi spazi sarà l’occasione per raccontare con coerenza sfumature diverse dell’horror, ma porterà a una sorta di ripartenza del film almeno in due distinte occasioni: la prima quando in scena (a Los Angeles! sulle note di “Riki Tiki Tavi” di Donovan!) entra l’attore accusato di molestie interpretato da Justin Long; la seconda quando ci viene raccontata una storia ambientata all’inizio degli anni Ottanta con protagonista Richard Brake.

A unire le storie di tutti questi personaggi è, nella superficie delle cose, la casa da cui tutto è iniziato e i segreti orribili che nasconde, mentre a un livello immediatamente sottostante, solo infinitesimamente meno superficiale, c’è una natura maschile la cui ambiguità iniziale si rivela sempre più per quello che è: una mostruosità innata, e declinata in forme diverse.
La tesi di Barbarian è chiara: perfino il personaggio maschile apparentemente più innocente ha comportamenti che contribuiscono a far sì che la protagonista femminile finisca nei guai. Chiara, evidente, dichiarata. Magari anche giusta, ma fin troppo strombazzata. Un po’ come in Men.
Solo che, paradossalmente, Cregger sembra prendere tutto, tesi compresa, meno sul serio di quanto non abbia fatto Garland. Sembra voler giocare di più, anche con le competenze e le aspettative dei suoi spettatori. Con un pelo di furbizia, con qualche scivolata di gusto e un pizzico di cialtroneria, ma senza mai essere fastidioso o invadente. E con la capacità di affermare, questioni femministe a parte, che il marcio che l’America scintillante e patinata dell’edonismo reaganiano ha sempre nascosto in cantina, è oramai libero di scorrazzare per le strade desolate di un paese che ha vissuto, e vive ancora, una crisi profonda, e non solo economica.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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