Attacco al potere 2: la recensione del sequel dell'action con Gerard Butler
Esce tre anni e molti drammatici eventi dopo il primo, il film in cui l'attore scozzese affronta da solo centinaia di terroristi impegnati a distruggere Londra.
Mike Banning, responsabile della sicurezza del presidente degli Stati Uniti Benjamin Asher, medita le dimissioni: sua moglie è incinta e sembra il momento giusto per ritirarsi dal servizio. Ma la morte improvvisa del primo ministro inglese richiede la presenza dei leader mondiali per i funerali di stato a Londra e lui deve accompagnare il presidente in quella che si rivelerà essere una trappola dei terroristi. Ancora una volta toccherà a Mike salvare il Presidente e sconfiggere i cattivi.
Attacco al potere 2 – London Has Fallen esce tre anni dopo il primo film (qua la nostra recensione, per rinfrescarci la memoria), che a fronte di un budget dichiarato di 70 milioni di dollari ne incassò oltre 160 in tutto il mondo. Coprodotto da Gerard Butler, che si propone come un clone moderno degli eroi dell'action anni Ottanta, arriva in un momento in cui il terrorismo nelle nostre città non è più purtroppo un'ipotesi fantascientifica, ma un'orribile possibilità. Dopo Charlie Hebdo e le stragi di Parigi, di Tunisi e di luoghi a noi molto vicini, insomma, è davvero inquietante ipotizzare la semi distruzione di Londra, non per opera di Godzilla ma di un non meglio precisato gruppo di criminali al soldo di un trafficante di armi, ma per nostra fortuna Attacco al potere 2 non è, come vedremo, abbastanza realistico da evocare le vere atrocità di cui siamo stati testimoni.
Squadra che vince non si cambia. E dunque tornano gli stessi attori del primo, da Morgan “carisma” Freeman (qui promosso a saggio vicepresidente) ad Angela Bassett, a cui si aggiunge qualche altro interprete di buon livello ridotto a fare la bella figurina come Jack Earle Haley, che ha una sola battuta in tutto il film (ed è fortunato, visto che a due veterani come il premio Oscar Melissa Leo e Robert Forster non ne tocca neanche una), la brava – e sprecata – Charlotte Riley e nel ruolo del cattivo l'israeliano Alom Moni Aboutboul, presenza sempre più costante nel cinema e nella tv americana. Il pretesto per la strage, stavolta, è privato: il trafficante d'armi mondiale più ricercato dall'FBI si trova nella sua residenza nel deserto dove si festeggia il matrimonio della figlia, quando la festa viene colpita da un drone statunitense. Sopravvissuto – non si sa come – insieme ai figli mentre la sposa resta uccisa, giura vendetta agli assassini e decide di assassinare il presidente degli Stati Uniti. Ma dal momento che la precedente distruzione della Casa Bianca da parte dei nordcoreani non aveva sortito effetti, per ucciderlo organizza un complicatissimo e machiavellico piano a Londra, una città interamente nelle sue mani.
Gli sceneggiatori Creighton Rothenberger e Katrin Benedikt ripropongono pedissequamente le stesse identiche dinamiche, battute e situazioni del primo film, limitandosi a trasportare l'azione in Europa e posizionando a metà, invece che all'inizio, l'attacco distruttivo. E questo è uno dei problemi, visto che del film diretto da Antoine Fuqua, regista esperto di cinema d'azione, i primi 20 minuti erano proprio la parte migliore, mentre lo svedese Babak Najafi, alla sua prima prova con il genere, non è abbastanza esperto per gestire la suspense e la spettacolarità di sequenze che sembrano uscire da un videogame (e nemmeno dei migliori). Al bel lavoro sulle scenografie (Londra in parte è stata ricostruita in studio in Bulgaria) non corrisponde un uso altrettanto efficace degli effetti speciali, difetto ormai comune a molti film contemporanei. Non solo, ma per le (inutili) misure di sicurezza adottate per i funerali del primo ministro, in strada, a parte gli agenti, non c'è anima viva, nemmeno un passante casuale e l'ambientazione diventa quello che realmente è: il set di un film e lo scenario di un gioco di guerra, senza un minimo di realismo e dunque di possibile identificazione a una prospettiva davvero agghiacciante.
Del resto non è questo il fulcro del film: il terrorismo è solo un pretesto per mettere in scena un buddy movie tra presidente e guardia del corpo che sarebbe anche divertente se potesse appoggiarsi a una sceneggiatura degna di chiamarsi tale. Gerard Butler ci disse all'epoca del primo film di divertirsi un mondo e tenersi in forma con questi action che definì “a guy thing” ed è difficile non credergli vedendo quanto ci dà dentro, solo contro tutti, sbaragliando centinaia di nemici dalla mira sbilenca. Per carità, si tratta di caratteristiche tipiche dei B-movies che ci hanno sempre divertito, ma dal momento che qui tutta la retorica patriottica americana viene presa molto sul serio, in questo caso si resta a dir poco perplessi.
Si ride comunque durante la visione, più che per le battute tra i due compagni di avventure, per l'insistenza con cui Banning dice al Presidente “stia giù” in ogni situazione in cui fischiano le pallottole, come se parlasse a un bambino incapace di difendersi, per il fatto che i due siano più indistruttibili di Thor e Hulk, che i loro vestiti da cerimonia non si sporchino più di tanto, per il ritratto del primo ministro italiano approfittatore e donnaiolo e per quel finale così prevedibile che lascia aperta l'ipotesi di un terzo film (ambientato dove, a Roma?). E' un film che piacerebbe, come qualcuno ha ipotizzato, a Donald Trump? Ne dubitiamo. Il suo pubblico ideale ci sembra quello composto da adolescenti in gruppo, quelli per i quali il cinema resta un momento di svago collettivo e l'occasione per fare un po' di sano casino in compagnia.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità