Atlas: recensione del film con Matilda De Angelis ispirato a una storia vera
In Atlas Niccolò Castelli racconta il difficile viaggio emotivo di una giovane donna alle prese con un dolore terribile. Il regista si affida al talento di Matilda De Angelis, che padroneggia gli sguardi e il non detto.
Per raccontare il dolore al cinema non c'è bisogno di pianti e stridor di denti, di retorica a piene mani, di visi rigati di lacrime e straziati dalla sofferenza. Il dolore può essere anche muto, dignitoso, può implodere invece che esplodere. Solo così diventa "politico", e il film di Niccolò Castelli Atlas, che narra l'elaborazione di un lutto, certamente lo è, anche perché si sofferma sulla paura di ciò che è lontano da noi, sugli attentati terroristici, sul coraggio di riscoprirsi almeno un po’ felici in un mondo come il nostro nel quale ci siamo sempre sentiti privilegiati e immuni al disastro.
Partendo da una storia vera, Atlas si sofferma sul recupero fisico ed emotivo di una ragazza che prima sembrava aver addosso l'argento vivo, che mordeva l'esistenza con eccessiva impazienza, come facciamo tutti noi, che non godiamo dell'attimo e già programmiamo il futuro prossimo. Allegra va a duemila all'ora, non vuole impegnarsi in una relazione seria e adora la montagna con la sua roccia ruvida e aspra. E ruvida e aspra diventa la sua quotidianità dopo un terribile incidente. E’ qui che arrivano il silenzio, il blocco emotivo e l'immobilità, ed è qui che il regista rifiuta i discorsi interminabili, le sedute di psicoterapia e le spiegazioni, e al film verboso preferisce il film di pancia.
Punta moltissimo sulla recitazione di Matilda De Angelis Niccolò Castelli, che riserva all'attrice quasi ogni inquadratura. Lei sta al gioco e vince su tutta la linea, lavorando di sottrazione e diventando un quieto animale in gabbia incapace di vincere il terrore. Il resto viene relegato sullo sfondo, e così gli scottanti temi affrontati finiscono per perdere un po’ della loro urgenza. Al regista sta a cuore più di ogni altra cosa il viaggio interiore della protagonista, anche la sua durezza, il suo rifiuto della famiglia. Il film, che non indora mai la pillola al pubblico, sembra dire che un modo per tornare a sorridere c'è, ed è la costruzione e la ricostruzione del rapporto con l'altro. In fondo, senza l'altro non si sale su una vetta, e quando si arrampica, non si fa altro che mettere la propria vita nelle mani di qualcuno che ti assicura. L'altro, qui, è un rifugiato del Medio Oriente di nome Arad a cui Allegra si avvicina.
La scelta di questo personaggio è un po’ scontata, forse, ma Castelli rifiuta il buonismo, mentre Allegra punta solo a toccare nuovamente il cielo. Ci riuscirà? Non saremo noi a dirlo, ma lo spettatore di Atlas ha un compito da svolgere, il che va benissimo, perché il percorso di Allegra è interessante, non annoia, e Matilda De Angelis, come già detto, non perde nemmeno per un istante credibilità. Quanta strada ha fatto questa giovane attrice da Veloce come il vento! E che intuito sembra avere! Le sue scelte non sono mai scontate e, senza nulla togliere alle sue performance fuori Italia, è in questo film che l'abbiamo vista completamente a fuoco, concentrata su sensazioni ed emozioni che ha fatto completamente proprie. I suoi non detti sono la cosa migliore di Atlas.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali