Anywhere, Anytime: la recensione del film presentato alla Settimana della Critica 2024
Il regista Milad Tangshir, iraniano da tempo stabilmente nel nostro paese, reinterpreta Ladri di biciclette nella Torino dei nostri giorni, con un discorso che è politicamente chiarissimo e cinematograficamente apprezzabile.
In quel capolavoro del cinema neorealista e mondiale che è Ladri di biciclette, il protagonista Antonio Ricci vaga disperato per la Roma del secondo dopoguerra per ritrovare la bicicletta che gli hanno rubato e che gli è indispensabile per il lavoro di attacchino che ha appena trovato dopo un lungo periodo di disoccupazione.
In Anywhere, Anytime cambiano il nome del protagonista, che è Issa, la sua nazionalità (senegalese), la città dove si svolgono i fatti (Torino) e, ovviamente, il lavoro per cui è indispensabile muoversi su due ruote: il rider. A parte quello, cambia pochissimo, in termini di trama e di situazioni. Certo, non c’è la santona, ma al suo posto una signora anziana che garantisce una parentesi diversa ma comunque significativa.
Ora, questo non vuol dire affatto che Milad Tangshir (iraniano dal 2011 in Italia, che ha realizzato con questo suo primo lungometraggio un film al 100% italiano) valga Vittorio De Sica, o che i suoi co-sceneggiatori Giame Alonge e Daniele Gaglianone valgano Suso Cecchi d’Amico o Cesare Zavattini. Vuol dire però sottolineare quelle che non solo solo evidenze, ma delle aderenze che fanno il senso stesso di questo nuovo film.
Il discorso, insomma, è chiaro. Chiarissimo. Gli immigrati di oggi sono gli italiani di un tempo, di un passato che è assai più vicino di quel che pensiamo, che è un battito di ciglia. Gli immigrati, allora, sono tali e quali a noi, solo piazzati su quel bassissimo gradino della scala sociale e economica che la maggior parte di noi hanno avuto la fortuna di salire, almeno un pochino.
A Antonio Ricci, però, nessuno chiedeva pure i documenti. Antonio non era in irregolare, non doveva nascondersi dalla polizia, non perdeva il lavoro perché non aveva le carte in regola. In Ladri di biciclette i Carabinieri non aiutavano Antonio, è vero, ma Issa a Polizia e Carabinieri non può nemmeno pensare di rivolgersi. E la conclusione della sua storia - che somiglia ovviamente a quella di Ladri di biciclette ma che è più cupa, solitaria e pessimista - è anche una sottolineatura rispetto alla condizione diseredata in cui Issa vive.
Se è vero che a un film come Anywhere, Anytime, per tutto questo e per la sincerità diretta della sua storia, per la semplicità mai sciatta della sua confezione, è un film al quale non si può in alcun modo volere male, è anche vero che bisogna fare attenzione a non cadere troppo nel ricatto della tematica, per dirla con Moretti. E allora se molte cose del film di Tangshir funzionano, e funzionano bene, alcune altre funzionano meno, forse ingenuità o magari per inesperienza.
Nei primi minuti il regista dimostra di saper usare molto bene la macchina da presa, e i suoi movimenti, appoggiandosi anche a una colonna sonora che rimane notevole per tutto il film, ma la brillantezza di quell’incipit si perde a volte in una stasi un po’ troppo semplice, specie in alcune sequenze di dialogo un po’ lunghe e non particolarmente ritmate. Alcuni personaggi sono molto azzeccati (come ad esempio il proprietario della ciclofficina cui Issa si rivolge in due occasioni, uno che di certo non può essere sospettato di votare per i partiti attualmente al governo in Italia, ma che a Issa va incontro fino a un certo punto), altri sono tratteggiati in maniera un po’ troppo esile (la ragazza di cui Issa è chiaramente innamorato, l’amico che lo aiuta e che alla fine del film finisce nei guai per colpa sua).
E però, nonostante tutto, a Anywhere, Anytime non si può voler male, anzi. E alla distanza rimangono impresse scene e stati d’animo, e la volontà di Tangshir di raccontare con sguardo “neorealista” (appunto) un mondo, quello degli immigrati clandestini e non nel nostro paese, che di solito viene trattato con eccessiva semplicità, approssimazione grossolana, sensazionalismo a scopo politico. Perché la realtà è sempre più complessa di come la pensiamo, e le sue sfumature ben più numerose di quelle normalmente rappresentate.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival