Amusia: la recensione del film di Marescotti Ruspoli
Presentato in anteprima al Bif&st 2023, Amusia è un'opera prima all'insegna della libertà creativa che parla d’amore e di solitudine. La regia è di Marescotti Ruspoli e nel cast, oltre a Carlotta Gamba e Giampiero De Concilio, c'è la splendida Fanny Ardant. La recensione di Carola Proto.
Nel 2010, in Blue Valentine di Derek Cianfrance, una coppia sceglieva un motel a ore per suggellare la fine di un matrimonio. Nel 2023, in Amusia di Marescotti Ruspoli, un ragazzo e una ragazza si conoscono, sempre in un hotel a ore, e si piacciono immediatamente.
Per quanto diversi, i due film condividono il grande pregio di saper parlare d'amore con una semplicità rara, che passa attraverso i gesti e gli sguardi dei protagonisti, e con un romanticismo commovente, anzi struggente, laddove lo struggimento nasce anche dalla profonda solitudine o dal disagio personale di ciascun personaggio.
Ma lasciamo stare Blue Valentine, che appartiene al passato, e occupiamoci di Amusia, che prende il titolo da un disturbo mentale che impedisce a chi ne è affetto di ascoltare e apprezzare la musica, che viene percepita come un insieme di suoni distorti e sgradevoli. A soffrirne, nel film, è una ragazza bionda di nome Livia, anzi una ragazza in fuga, che approda all’Hotel Amour e finisce a dormire, tra i panda finti, nella Bamboo Suite. L'albergo è bizzarro, inquietante e vagamente lynchano, con un corridoio illuminato di rosso che ci fa pensare a Twin Peaks. Lynchana, inoltre, è la strada notturna che un'automobile percorre durante i titoli di testa, con i fari che illuminano la riga di mezzeria. Non ci troviamo, tuttavia, nello stato di Washington o nel deserto californiano, ma in un non luogo anonimo e sonnacchioso capace di affossare i sogni di chiunque non sia soltanto di passaggio.
Se abbiamo detto sogni è perché costituiscono l'essenza di Amusia. Seppur confusi con la realtà, sono l'ancora di salvezza e il pensiero felice prima di andare a dormire di Lucio (Giampiero De Concilio), receptionist dell'Hotel Amour che fantastica di reinventarsi altrove ma non si decide a partire. Perfino i prati sempre verdi e il cielo sempre grigio del posto rimandano alla sua immobilità e a un blocco interiore, mentre Livia (Carlotta Gamba) è rabbiosa, dolente, autodistruttiva. Lui vuole essere speciale ed è sopravvissuto grazie alla musica, mentre lei vuole essere normale e considera la musica la sua più acerrima nemica. Eppure Livia e Lucio si incontrano "a metà strada" e sarebbe riduttivo definire il loro amore una fusione di due solitudini. No, c'è dell'altro, e Marescotti Ruspoli è riuscito nella mirabile impresa di "suggerire" un sentimento talmente intrecciato alla vulnerabilità da rischiare di scomparire in ogni momento nonostante l'intensità, ad esempio quando l'udito di Livia viene massacrato da suoni sgradevoli.
Se Marescotti Ruspoli è rimasto così legato alle emozioni dei suoi personaggi è perché fin dal principio ha stabilito, aiutato dal direttore della fotografia Luca Bigazzi, un mood, anzi un'atmosfera, sospesa fra la realtà e la fantascienza distopica, perché a fare da cornice all'alienazione dei personaggi sono paesaggi drammatici e abbandonati. Il regista si prende il permesso di renderli atemporali e, nel farlo, prende ispirazione dalla pittura dei surrealisti e dalle architetture di Aldo Rossi, che sembrano diventare gli anni '80, quando appaiono le musicassette, o '70 quando a squillare è il telefono grigio con la rotella con i numeri. Tanto sono veri i personaggi in Amusia, quanto è onirico e metafisico il contesto nel quale si muovono, a significare l'impossibilità di Lucio e Livia di trovare un posto nel mondo, o una realtà concreta da cucirsi addosso.
C’è poi un’altra dimensione in Amusia, quella fra il borghese e bohemien dei genitori di Livia, lui (Maurizio Lombardi) compositore di colonne sonore che ama bere whisky e fumare nella vasca, lei raffinatissima donna francese con l'allure e la voce dolce e sensuale di Fanny Ardant. Se l'attrice francese ha accettato di interpretare un ruolo nel film è perché si è innamorata della sceneggiatura. Probabilmente ha respirato anche lei quella libertà che solo le opere prime possono avere, quell'impeto nel rompere gli schemi non per "essere contro" ma per la voglia di coerenza con sé stessi e perché i filtri arrivano dopo, insieme alle limature e agli aggiustamenti, e ai compromessi.
A proposito di compromessi, il film pone una domanda alle anime fatte di note che popolano questa terra: riuscireste, per amore, a rinunciare per sempre alla musica? A Miles Davis e Charlie Parker? A Nina Simone? A Leonard Cohen e Bob Dylan? Ai Beatles e agli Stones? Ai Pink Floyd e a David Bowie? A ognuno la sua risposta.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali