Amori che non sanno stare al mondo: la recensione del film di Francesca Comencini con Lucia Mascino
Un amore che finisce da superare.
L’amore è una guerra e come tale va affrontata. Claudia è una donna sempre pronta a indossare l’elmetto per affrontare la vita senza moderazione, gettandosi a capofitto contro tutto e tutti, che sia una scheda telefonica da ricaricare o il futuro dell’università da difendere. L’unico momento in cui la vediamo a riposo è a inizio film, sdraiata a letto appena sveglia. Un momento di quiete sospesa che dura pochi secondi, dopodiché eccola pronta a gettarsi senza compromessi nella sua irrequietezza, la Clauda furiosa, che scopriamo presto essere posseduta da un’ossessione amorosa.
Francesca Comencini ha scelto la strada del flusso di coscienza per raccontarci le varie fasi di un amore: il prima, il durante e il dopo, mostrati intrecciati uno con l’altro, senza che sia a prima vista possibile facilmente identificare in quale fase ci troviamo, tanta è l’esuberanza innata nella protagonista, interpretata oltre ogni misura da Lucia Mascino. L’amore è una guerra, si diceva, e dicono le autrici. Allora l’importante è non renderla una vittima, a costo di presentarla come una specie di pazza. Proprio l’immedesimazione iniziale con Claudia risulta difficile, a causa della sua costante recitazione varie ottave troppo in alto, mancando il tempo allo spettatore di comprenderne la febbre amorosa.
Flavio (Thomas Trabacchi), il collega professore universitario oggetto di questo amore, decide di lasciarla, scelta non propriamente impossibile da concepire, alla luce di quanto sopra. Freddo e cinico, quanto lei è ossessiva, non accetta di farsi sorprendere dalla vita, e soprattutto di lasciarsi andare preso da sentimenti che non controlla. Una contrapposizione fin troppo schematica, che ci propone una guerra dei sessi - lei sensibile e lui cinico, lei fragile e lui in controllo - che non ci sembra neanche più così rappresentativa della società di amorosi sensi di oggi. Ma le strade per amarsi sono infinite, e Amori che non sanno stare al mondo - peraltro titolo davvero bello - ne sceglie alcune, ben attento a rimanere nella classica contrapposizione fra caratteri diversi.
Lascia perplessi, nel percorso di elaborazione del lutto per la fine del suo rapporto, per forza di cose reso più confuso dalla struttura narrativa, come Claudia giunga a un’improvvisa consapevolezza di sé, a una pacificazione propositiva, non basata sull’analisi del suo approccio ossessivo, ma sull’identificazione di Flavio come quello che “non ha avuto il coraggio e si è accontentato” di vivere l’amore blandamente, come un ragioniere dei sentimenti. In questo modo si disinnesca la portata analitica del film, che rimane irrisolto e un po' superficiale, non provando neanche a cercare una cura una volta individuata la malattia, l'antidoto per il veleno d'amore.
Rimangono una seconda parte più compiuta e alcuni momenti divertenti, oltre a un tratto ironico costante nel personaggio di Claudia che lo arricchisce, così come una immedesimazione della Mascino che le dà corpo con una vena anarchica sincera.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito