American Pie: Ancora insieme - la recensione del film
Sono passati più di dieci anni. Eppure i protagonisti della fortunata serie di American Pie, tornati in gruppo sul grande schermo in quello che appare una sorta di Grande freddo demenzial-porcellone, sono sempre loro.
Sono passati più di dieci anni. Eppure i protagonisti della
fortunata serie di American Pie,
tornati in gruppo sul grande schermo in quello che appare una sorta di Grande freddo
demenzial-porcellone, sono sempre loro. Sempre uguali a loro stessi e fieri di
esserlo.
Perché poco importa che, nonostante le nostalgie e i richiami del passato
spingano a replicare le leggerezze di gioventù, alla fine la maturità un po’ rigida
dell’età adulta si faccia sentire: perché nonostante avventure e disavventure, Jim,
Oz, Michelle, Stifler, Kevin e compagnia conservatori e un po’ moralisti lo sono sempre
stati.
Fin dalla sua nascita, infatti, la saga di American Pie
è stata caratterizzata da una sottile ma evidente volontà normalizzatrice:
lontana dalla vena sovversiva o comunque socialmente rappresentativa che il genere
delle teen comedies sporcaccione aveva avuto tra la fine degli anni
Settanta e l’inizio degli Ottanta (sì, parliamo – anche – di Porky’s), il film originale di
Paul Weisz era un’espressione
di riflusso, e di quell’assorbimento dei materiali e dei temi potenzialmente eversivi o
comunque non allineati da parte dell’establishment hollywoodiano.
Di lì, quella commistione tra romanticismo quasi hughesiano da un lato e
pecoreccio dall’altro che di American Pie è sempre
stato il marchio di fabbrica più efficace e apprezzato.
Di lì, la non casuale commistione – persino carnale – tra il mondo dei figli e
quello dei genitori.
Nulla di tutto quello viene smentito o omesso, in questo American Pie: ancora insieme.
Al contrario, viene esplicitato come mai prima, complice il rinnovato dato anagrafico
che caratterizza il team dei protagonisti.
Formula immutata quindi, con l’accumulo di sketch spesso slegati fra di loro e
costruiti sulla messa in piazza dell’imbarazzante da un lato e sul misunderstanding dall’altro, nel contesto rassicurante di
un’America suburbana e priva di qualsiasi conflittualità. Sketch che a volte,
singolarmente, possono anche portare alla desiderata risata, a patto di essere di
bocca buona: specie se ci si concentra sull’unico elemento da sempre più
incontrollato, (de)cerebrato e anarchico della serie, quello Stifler che è supportato
ancora una volta da
Seann William Scott, forse interprete sottovalutato.
Allora, ecco che i protagonisti di
American Pie: ancora insieme, tra una disavventura e una
bravata, si possono permettere anche di dire "o tempora o mores!", mentre
rimangono fermi, inchiodati sul loro passato, sui binari sui quali si son placidamente
lasciati appoggiare fin dall’adolescenza. Sicuri e orgogliosi della loro convenzionalità,
perché in fondo da certe cose ci son passati tutti, perché comunque il domani sarà
uguale all’oggi e l’oggi allo ieri.
Non a caso, l’unico a scartare, con una piccola rivincita personale, è proprio
Stifler, che dopo aver avuto il coraggio di cambiare pareggia finalmente i conti con un
vecchio rivale.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival