American Pie: Ancora insieme - la recensione del film

03 maggio 2012

Sono passati più di dieci anni. Eppure i protagonisti della fortunata serie di American Pie, tornati in gruppo sul grande schermo in quello che appare una sorta di Grande freddo demenzial-porcellone, sono sempre loro.



Sono passati più di dieci anni. Eppure i protagonisti della fortunata serie di American Pie, tornati in gruppo sul grande schermo in quello che appare una sorta di Grande freddo demenzial-porcellone, sono sempre loro. Sempre uguali a loro stessi e fieri di esserlo.
Perché poco importa che, nonostante le nostalgie e i richiami del passato spingano a replicare le leggerezze di gioventù, alla fine la maturità un po’ rigida dell’età adulta si faccia sentire: perché nonostante avventure e disavventure, Jim, Oz, Michelle, Stifler, Kevin e compagnia conservatori e un po’ moralisti lo sono sempre stati.

Fin dalla sua nascita, infatti, la saga di American Pie è stata caratterizzata da una sottile ma evidente volontà normalizzatrice: lontana dalla vena sovversiva o comunque socialmente rappresentativa che il genere delle teen comedies sporcaccione aveva avuto tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta (sì, parliamo – anche – di Porky’s), il film originale di Paul Weisz era un’espressione di riflusso, e di quell’assorbimento dei materiali e dei temi potenzialmente eversivi o comunque non allineati da parte dell’establishment hollywoodiano.
Di lì, quella commistione tra romanticismo quasi hughesiano da un lato e pecoreccio dall’altro che di American Pie è sempre stato il marchio di fabbrica più efficace e apprezzato.
Di lì, la non casuale commistione – persino carnale – tra il mondo dei figli e quello dei genitori.

Nulla di tutto quello viene smentito o omesso, in questo American Pie: ancora insieme. Al contrario, viene esplicitato come mai prima, complice il rinnovato dato anagrafico che caratterizza il team dei protagonisti.
Formula immutata quindi, con l’accumulo di sketch spesso slegati fra di loro e costruiti sulla messa in piazza dell’imbarazzante da un lato e sul
misunderstanding dall’altro, nel contesto rassicurante di un’America suburbana e priva di qualsiasi conflittualità. Sketch che a volte, singolarmente, possono anche portare alla desiderata risata, a patto di essere di bocca buona: specie se ci si concentra sull’unico elemento da sempre più incontrollato, (de)cerebrato e anarchico della serie, quello Stifler che è supportato ancora una volta da Seann William Scott, forse interprete sottovalutato.

Allora, ecco che i protagonisti di
American Pie: ancora insieme, tra una disavventura e una bravata, si possono permettere anche di dire "o tempora o mores!", mentre rimangono fermi, inchiodati sul loro passato, sui binari sui quali si son placidamente lasciati appoggiare fin dall’adolescenza. Sicuri e orgogliosi della loro convenzionalità, perché in fondo da certe cose ci son passati tutti, perché comunque il domani sarà uguale all’oggi e l’oggi allo ieri.
Non a caso, l’unico a scartare, con una piccola rivincita personale, è proprio Stifler, che dopo aver avuto il coraggio di cambiare pareggia finalmente i conti con un vecchio rivale.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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