Aftersun: recensione dell'acclamato esordio di Charlotte Wells

03 gennaio 2023
3 di 5

Considerato da buona parte della critica internazionale come uno dei migliori film visti nel circuito festivaliero nel 2022, il film interpretato da Paul Mescal e Frankie Corio arriverà in sale selezionate dal 5 gennaio e in streaming in esclusiva su MUBI dal 6 gennaio.

Aftersun: recensione dell'acclamato esordio di Charlotte Wells

Sophie ha undici anni. Calum trenta, ne sta per compiere trentuno. Li festeggerà nel villaggio vacanze che li ospita, da qualche parte lungo la costa turca. Sophie e Calum vengono scambiati per fratelli, ma in realtà sono padre e figlia, in vacanza assieme: una vacanza che li riunisce, loro che vivono distanti, lui dalle parti di Londra, lei a Edimburgo con la mamma.
Il punto di vista è quello di Sophie, e Aftersun è l’insieme randomico e disordinato dei suoi ricordi, che sporadicamente si intrecciano con immagini del presente, reali o immaginarie. Immagini di una Sophie adulta, e di un Calum rimasto come allora.

Nella sua evidenza, nell’evidenza di sequenze che punteggiano una vacanza e raccontano due caratteri e un rapporto, di scene sempre sospese nell’eterno e incerto, ovattato presente della memoria, studiate e girate dall’esordiente Charlotte Wells con un gusto per l’inquadratura, la fotografia e il cinema che è segnale di evidente talento, tutto di Aftersun è chiaro. Palese.
Quei due si vogliono un gran bene, anche se la ragazzina è distratta dall’irrompere disordinato della vita adulta e delle pulsioni erotiche garantite da chi ha poco più dei suoi anni e di mette in mostra, e il padre è chiuso in una serie di problemi che, senza mai essere davvero esplicitati, non sono solo economici, o esistenziali, ma attorcigliati attorno a ben celato mal di vivere.
In più, Calum è chiaramente preoccupato per il futuro della figlia, e cerca di metterla in guardia contro i rischi degli abusi di sostanze (“puoi parlarmene, ho provato tutto”, le dice) e di insegnarle le basi dell’autodifesa.  

Quello che allora diventa chiaro, o forse no, ma che comunque non è mai lì nell’evidenza, perché Charlotte Wells è ben attenta a non sporcare il suo film con qualcosa che si avvicini appena al didascalismo, è che quella vacanza lì, quell’incontro tra un padre e una figlia che vivono lontani, è forse stato l’ultimo. E se già la goffagine, la ruvidezza, la sincerità e la semplicità candida e mai banale che sta dentro le tante istantanee del ricordo che compongono il film potevano risultare commoventi, quando inizia a insinuarsi il dubbio di una sparizione e di un lutto, tutto diventa emotivamente ancora più forte.

Non è un film di parole, Aftersun. Le parole, che pure ci sono, sono sempre inadeguate, banali, imbarazzate, incerte o perfino sbagliate. Quello che conta, in Aftersun, che conta per Sophie e Calum, e per noi che li stiamo a guardare, sono i gesti, i silenzi, gli spazi, le traiettorie dello sguardo. Aftersun, non solo per questo, ma anche per questo, è un film di immagini. Di immagini forti, potenti, fatte di cinema e con grande consapevolezza: quella per cui l’immagine, al cinema, è estetica e racconto assieme.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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