A Quiet Passion: recensione del biopic di Terence Davies su Emily Dickinson con Cynthia Nixon
Elegante e toccante sguardo sulla vita della grande poetessa americana.
Ironia e incapacità di omologazione, di essere confinata in un gruppo o un altro per mero quieto vivere, per ritrovarsi con un etichetta e delle coetanee intorno a lei. Quella di Emily Dickinson è la storia di una ribelle che ha sempre rivendicato l’ostinazione di ragionare sempre con la propria testa. Qualcosa di inaudito se parliamo di una donna, oltretutto della buona borghesia del New England americano nella metà del XIX secolo, nel pieno di quella che in Gran Bretagna è passata alla storia come età vittoriana.
Il problema della giovane Emily, poi, era che la sua formazione puritana avrebbe dovuto portarla a rinnovare l’impegno della famiglia verso le istituzioni locali religiose - il nonno aveva fondato l’Amherst College -, mentre lei scappa via da ragazza senza tante cerimonie dalla sua scuola, nella prima scena del biopic A Quiet Passion, che Terence Davies le ha dedicato, e arriva nelle sale italiane con un paio d’anni di ritardo.
Il padre era uomo di legge e di buon cuore. ‘Mio padre mi compra molti libri, ma mi prega di non leggerli perché ha paura che scuotano la mente'. Proprio quello che accadde alla studente irregolare Emily, la cui conversione, a suo modo tinta di rapimento religioso, fu verso la poesia, portata avanti per lo più chiusa nella casa paterna, da cui non uscì che per rare visite ai parenti, non spingendosi mai oltre Boston o il vicino Connecticut. Amava la natura, si nutriva dei paesaggi idilliaci intorno alla proprietà dei Dickinson, ma era ossessionata dalla morte, come ben dimostra la sua produzione letteraria, tanto da vestirsi solo di bianco in segno di purezza, specie dopo la morte degli amatissimi genitori, fino a far perdere d’intensità al colore candido della veste per l’uso costante, giorno dopo giorno, come Davies mostra nel film. Per farlo ha scelto un'attrice inusuale, la Miranda di Sex and the City, e recente sfortunata candidata alle primarie democratiche per la carica di governatore dello stato di New York, Cynthia Nixon. Che sorpresa, dobbiamo ammettere, per aver molto amato la sua sofferta interpretazione, in ottimo equilibrio fra magnetismo, energia e fragilità.
Sono proprio i piccoli dettagli l’ossessione costante del regista di Liverpool, dimostrata anche in quest’occasione. Da una lingua molto ricercata utilizzata dalla più britannica delle poetesse americane e dalla buona borghesia del New England alla luce compagna quotidiana delle lunghe giornate spesso solitarie della Dickinson; una luce spesso di taglio, confortante eppure talvolta gelida. Con il passare degli anni la giovane si forma una personalità eccentrica, brillante e ironica, ma anche capace di stilettate violente. Una rivendicata identità che si accompagnò sempre alla necessità della protezione della famiglia, compresa la sorella e il fratello, e della casa paterna, che rimase per sempre la sua. Si sentiva forte del suo talento e della sua sensibilità, ma al contempo di una fragilità assoluta, come si nota nei suoi versi, innamorati dell’amore e in cerca di conciliazione con l’idea della morte. A un’altra frustrazione dovette rassegnarsi, a quella di vedere pubblicate solo un pugno delle 1800 poesie da lei scritte, di rimanere una sconosciuta scrittrice di versi della provincia opulenta, al pari di altre annoiate dilettanti della penna, decisamente meno talentuose.
Troppo avanti rispetto al suo tempo, troppo carismatica e per di più donna. Potrebbero cercarsi varie spiegazioni al suo successo solo postumo, forse semplicemente la sfortuna che colpisce talvolta gli artisti, anche quelli capaci di emozionarci con pochi versi come Emily Dickinson, che passo la sua vita in eterna elaborazione di una ferita o di una tensione fra sensazioni opposte. Del resto, lo mostra A Quiet Passion in una delle molte sequenze toccanti, fu anche capace di far pace con la morte, in nome dell’amore, oltretutto ben prima di morire, dopo atroci sofferenze e senza il sollievo degli antidolorifici moderni, per una malattia ai reni, all’età di 56 anni.
‘Poiché non potevo fermarmi per la Morte, lei gentilmente si fermò per me’.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito