A Good Person: recensione del film con Florence Pugh e Morgan Freeman
Disponibile su Sky e su NOW il nuovo film scritto e diretto da Zach Braff. Ecco la recensione di A Good Person di Federico Gironi.
Non mi è ben chiaro, devo ammettere, se A Good Person sia più un film sull’impatto di un lutto nella vita delle persone, o un film sulle dipendenze, o ancora un film sull’imparare a perdonare gli altri e ancora di più sé stessi per gli errori che inevitabilmente, in una vita che pure lei ci mette del suo per complicare le cose, tutti commettiamo.
A ben vedere mi sa che Zach Braff, regista e sceneggiatore del film, aveva tutta l’intenzione di mettere assieme tutte queste cose, raccontando la storia di una ragazza che sopravvive all’incidente stradale nel quale però muoiono i futuri cognati, e che in seguito allo shock, alla colpa (guidava lei) e a quant’altro, ritroviamo dopo un anno sola (il fidanzato l’ha mollato lei) e dipendente dall’ossicodone. Ragazza di nome Allison, interpretata da Florence Pugh, che finirà con l’incontrare a una riunione di Alcolisti Anonimi il quasi ex suocero Daniel (Morgan Freeman), un uomo che ha pure lui i suoi problemi e i suoi fantasmi e un passato pesante, ma che, nonostante tutto, e nonostante stia con difficoltà cercando di crescere la nipote adolescente rimasta orfana nell’incidente, decide di aiutare Allison, quella che gli ha tolto una figlia, a rimettersi in sesto.
Già da questo intreccio di trama, che pure è stato semplificato in alcune ramificazioni e implicazioni, è chiaro come uno dei nodi chiave di A Good Person consista nell’aver voluto concentrare un gran numero di sfortune e di problematiche in due soli personaggi, e senza contare quelle, di problematiche, che si vengono a generare per via delle energie di segno diverso che si liberano quando le polarità di Allison e di Daniel vengono a contatto.
Braff, che da tempo centellina le sue apparizioni come attore e che da La mia vita a Garden State in avanti aveva girato solo commedie, qui si confronta per la prima volta col dramma, e non si e ci risparmia nulla. La mole di temi e situazioni forse appare un po’ troppo per le sue forze, e ne appare sopraffatto, incapace di non cedere alle retoriche formali e narrative più scontate e melense, e a un meccanicismo che rende tutto un po’ scontato.
A Good Person si apre con la voce del personaggio di Freeman che commenta la sua attività di modellista ferroviario, e che enuncia un’ovvietà piuttosto programmatica: in scala 1:87 si ricrea un mondo perfetto, dove tutto funziona, dove non ci sono disgrazie, errori, dolori. Un mondo che non è la vita reale e problematica che da lì in avanti Braff distenderà sotto i nostri occhi.
Eppure, il paradosso c’è: e risiede nel fatto che - seppur animato da buone intenzioni, non c’è motivo per metterlo in dubbio, sarà la simpatia che si ha per lui da quando era il J.D. di Scrubs - in A Good Person Braff sembra voler realizzare un plastico, un modellino, un diorama, più che un film fatto di personaggi veri. Voler plasmare per lo schermo e sullo schermo un mondo nel quale la mano del demiurgo risulta troppo presente, troppo evidente.
Rimane il cast, con buona pace di solidi comprimari è tutto riassunto nel solito, solidissimo Morgan Freeman e in una Florence Pugh che figura anche come produttrice, si è tagliata i capelli davvero e canta pure, ma che, pur rimanendo incisiva, non è all’altezza delle sue interpretazioni migliori.
Un critico americano ha scritto un po’ velenosamente che Braff - fidanzato con l’attrice al momento delle riprese - è riuscito nell’impresa di far recitare male Pugh per la prima volta: è un’esagerazione, ma un fondo di verità, forse, è rintracciabile.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival