40 carati: la recensione del film

07 febbraio 2012
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L'action thriller con Sam Worthington Elizabeth Banks, Jamie Bell e Ed Harris


Un posto risicato dove mettere i piedi, ingombrante per pensare, decisamente esposto come centrale operativa. Rendere al meglio su un cornicione è il vero punto del film, che mantiene l'equilibrio, faticoso e quindi più divertente, fino in fondo (proprio come il suo protagonista).

Lo sappiamo, e non ce lo vogliamo chiedere, perché Man on a ledge è diventato 40 carati, tuttavia se l'inopportuno titolo italiano, aiutato dal trailer spione, non ci ha guastato la festa, va dato merito ad Asger Leth, che si è scelto bene i pezzi e li ha spinti nelle giuste direzioni. Apprendo che Asger è un affezionato dei documentari e così, per rimanere vicino al reale (per il suo primo lungo di finzione), ha girato davvero a 78 metri sopra il centro di Manhattan, con Sam Worthington che soffre di vertigini. L'operazione fatta bene da questo regista è stata di non mirare (o almeno senza spocchia) al sofisticato capolavoro di genere action (o thriller, o heist, o psychologist) ma di calibrare e intrecciare tutti quelli tra parentesi per intrattenerci. La storia, che impone gran parte del suo tempo su un cornicione, si domanda perché Nick (Sam Worthington) minaccia il salto nel vuoto, e quando (abbastanza presto) lo capiamo, ci porta a seguire senza apprensione ma con gusto, cosa succede poco lontano da lì, dove il fratello Jamie Bell tenta il colpaccio.

Sam Worthington ai piani altissimi del Roosevelt Hotel ci è andato da solo. E' uscito dalla finestra e ha fatto accalcare sotto una marea di curiosi e gioiosi. Poi ha voluto per forza Lydia (Elizabeth Banks) come negoziatrice della polizia. Nick sicuramente ha quella come unica chance, l'ha pensata bene, come atto disperato che crea tensione e introduce la suspense di un altro luogo d'azione. In entrambi si deve tener conto del (poco) tempo. L'invito fatto agli spettatori di 40 carati a comprendere o prevedere la tattica non è incalzante, ma estremamente efficace, mentre il ritmo felicemente è l'uno e l'altro. Dinamico il passo titubante di Nick sullo stretto appoggio, e il compito "impossibile" del fratello nel caveau.

L'accusa ingiusta, l'azione eroica più o meno intrigante, spiazzante o in assenza di gravità, così come l'aspirante jumper, fanno parte di una tradizione americana che trova sempre qualche buona ragione per essere strizzata. Anche qui. Qui Asger Leth, in esordio, rende il pericolo spericolato, il colpo millimetrico e la fuga spettacolare. Con quell’ironia di fondo altrettanto tradizionale. E se il contorno di cinismo (la reporter) e avidità (il magnate Ed Harris) è accennato senza preoccupare, forse qualche riga in più meritavano Nick e Lydia on a ledge (fanno più scintille Jamie Bell e Genesis Rodriguez).

Il cornicione vale la pena, l’uomo sopra è onesto e ben vestito, controllate solo che non abbia il calzino corto (mi è parso di vederlo quando scavalca).



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