Zeta - recensione del film ambientato nel mondo del rap italiano

22 aprile 2016
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Una classica storia di ambizione, amore e sentimenti interpretata da un giovane rapper e con la partecipazione quasi totale delle star dell'ambiente.

Zeta - recensione del film ambientato nel mondo del rap italiano

Ha dichiarate ambizioni Zeta, opera terza del prolifico regista di video musicali e pubblicità Cosimo Alemà, che nelle note di regia scrive di voler realizzare un film generazionale in grado di rappresentare i giovani Millennials, così come negli anni Ottanta aveva fatto Il tempo delle mele o – fatte le debite proporzioni – altri titoli a cui lui e il cosceneggiatore Riccardo Brun si sono ispirati, come L'odio. Gli si potrebbe obiettare che non è possibile costruire a tavolino un'opera del genere, bisogna solo avere la fortuna di cogliere lo zeitgeist e avvertire il mood del momento, e che spesso i grandi successi nascondo da scelte inconsce e inconsapevoli. Va detto però che Zeta non ha l'aria di essere una mera operazione commerciale, perché di verità ne ha da vendere. A partire dal suo protagonista e attore debuttante, il giovanissimo rapper di Cogoleto Diego Germini (in arte Izi), che col suo personaggio ha molti punti di contatto (leggere la sua biografia per credere), per continuare coi luoghi di una Roma periferica ricordata dai media quasi solo in occasione di fatti di cronaca nera, ma non per questo meno viva, vibrante, popolata da giovani arrabbiati e disorientati per cui il rap è un modo per uscirne vivi.

E il rap è un mezzo di espressione immediato e democratico: chiunque può scrivere rime che parlino di sé, della vita che soffre e di quella che vorrebbe, di amore e quotidiano, tradimenti e dolori, può fare un video e caricarlo su youtube e, se è proprio tosto e determinato, presentarsi su un palco dove si combattono le famose – e per fortuna incruente – battaglie del freestyle, che non si fanno solo in America o nella Detroit dell'8th Mile, quella di Eminem e del film che la racconta. Il rap si suona senza strumenti, a cappella o con basi registrate: protagoniste sono la voce e le parole, il ritmo battente del verbo e della rima. Non c'è da stupirsi che in Italia da qualche anno si assista a una vera e propria esplosione di un fenomeno che nasce dal basso (dalla strada e dall'intimità) ed è arrivato in alto, confrontandosi anche con un pubblico - vedi Sanremo - a cui non sarebbe mai arrivato, e a volte è difficile distinguere chi è artista vero e chi fenomeno costruito e lanciato da astuti producer o talent show. Non sorprende nemmeno che il pubblico che ama questo genere sia composto da giovani e giovanissimi che si riconoscono nelle sue tematiche. L'idea dunque di ambientare un film musicale per ragazzi - che questo è Zeta - all'interno di questo universo, è sicuramente opportuna e vincente.

Non si tratta di una versione italiana di quel gran bel biopic che è Straight Outta Compton, ma di una classica storia di amicizia e scelte di vita condizionate dalla passione e l'ambizione. Protagonisti sono tre ragazzi amici fraterni: Marco, Alex e Gaia. Il sogno è quello di esibirsi e sfondare col rap e di lasciarsi alle spalle il lavoro alla pescheria del padre per Alex, quello dotato di vero talento, mentre Marco gli fa le basi e spaccia marijuana sperando di svoltare insieme a lui. La loro unione si frantuma quando Gaia si innamora di Alex, che non ha però il coraggio di tradire l'amico, e Sante, un importante producer, lo costringe a lasciare Marco per entrare nel circolo dei suoi protetti. Per il neonato Zeta è l'inizio di un successo folgorante, che lo porterà in un mondo agli antipodi da quello in cui ha vissuto col padre e la sorella, ma rischierà di togliergli l'anima da cui scaturisce la sua voce e la sua poesia. Romantico al punto giusto, scontato nelle linee narrative ma dotato di un senso di autenticità che ne attenua la sensazione di già visto, è un film che può sicuramente parlare al cuore dei giovani che amano il rap e le storie d'amore e di formazione a lieto fine (con le inevitabili tragedie prima di arrivarci), senza annoiare nemmeno gli adulti.

Ci sembra giusto sottolineare l'ottima scelta del cast: dai due esordienti assoluti, Diego Germini, che dà grande forza e verità al suo Zeta, alla giovanissima Irene Vetere, vera rivelazione, fino al più esperto Jacopo Olmo Antinori. E siccome i piccoli ruoli sono importanti come quelli grandi, un casting intelligente ha affiancato ad attori di teatro come Aldo Vinci (che nelle sue poche scene riesce a dare profondità e umanità al personaggio del padre), bravi interpreti alle prime armi e il fior fiore della scena hip hop italiana, dai rapper più impegnati ai freestyler più tosti, da quelli di maggior successo commerciale a quelli duri e puri. Ci sono praticamente tutti, tanto che si fa prima a dire chi non c'è (a memoria ci sembra manchino solo i Club Dogo e Fabri Fibra): non tutti rappano soltanto, alcuni hanno anche (o solo) dei ruoli recitati in cui sono molto bravi (Clementino su tutti) o appena passabili (non diremo chi). C'è poi il piacere di rivedere Salvatore Esposito, che esce dal personaggio di Gomorra e interpreta in modo convincente una specie di Padrino del genere, un po' gangsta e un po' guappo, e ci sono tante parole e tanta bella musica.

Perché la cosa più sorprendente di Zeta è proprio la scoperta di quanti artisti rap esistano in Italia e l'incredibile varietà di stili, di ritmi, di testi, di impegno e di senso che li contraddistingue. La loro età varia dai 20 anni ai 40 e passa, vengono dal Nord, dal Centro e dal Sud, parlano del proprio vissuto, di sconfitte e vittorie, sono la voce di strada delle nostre periferie. Qualcuno di loro probabilmente si è venduto l'anima ma per fortuna ce ne sono molti altri che vale la pena di conoscere e ascoltare. Zeta è anche un compendio e una vetrina di questo mondo, una compilation in cui ognuno potrà trovare il suo (heart)beat.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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