Wish, la recensione del 62° classico dei Walt Disney Animation Studios, una celebrazione di 100 anni di tradizione

18 novembre 2023
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Il 62° classico animato dei Walt Disney Animation Studios, Wish, è un omaggio dagli autori di Frozen a tutta la tradizione animata della casa. Un oggetto particolare. Ecco la nostra recensione.

Wish, la recensione del 62° classico dei Walt Disney Animation Studios, una celebrazione di 100 anni di tradizione

Nel regno di Rosas, in un'isola del Mediterraneo, gli abitanti sono felici: consegnano letteralmente i loro sogni al re Magnifico, un mago che li libera da questo "peso", promettendo poi loro di esaudirli in apposite cerimonie. Asha sogna di diventare la sua assistente, ma nel colloquio qualcosa va storto e comprende il lato oscuro di questa politica. Cercherà di rimettere le cose a posto, perché ha scoperto di non essere meno magica del Re...

Il 62° lungometraggio del canone dei Walt Disney Animation Studios è concepito per celebrare i 100 anni della casa e della sua tradizione fiabesca. Wish è messo nelle mani dello stesso team dei Frozen, con una leggera variazione: questa volta il veterano Chris Buck ha al suo fianco come co-regista Fawn Veerasunthorn, già story artist dello studio, mentre Jennifer Lee mantiene solo il ruolo di cosceneggiatrice, impegnatissima ormai in qualità di direttrice creativa dei WDAS. Prima ancora di entrare nella storia, ci si accorge che l'omaggio prende una strada visiva molto intrigante, che porta il team ad accettare la sfida della concorrenza, in materia di stile e rendering 3D: i fondali si compiacciono della loro fattura "manuale", di una bidimensionalità pittorica, presentando persino la materialità di una tela (lo si noterà più sul grande schermo). Le animazioni invece enfatizzano la linea, con modelli dall'illuminazione meno fotorealistica, nel richiamo del gusto d'antan. Nel cortometraggio Paperman di una decina d'anni fa, i WDAS arrivarono molto prima di uno Spider-Man Un nuovo universo a contaminare la CGI con il tratto a mano libera, ma finora lo studio non aveva mai azzardato questi esperimenti in un lungometraggio. Per la qualità del risultato, siamo lieti di dire: era ora.

La celebrazione del passato è naturalmente anche nell'anima di Wish, e ci permettiamo di pensare che sia proprio questa missione a frenare il film nel mostrare le sue potenzialità. Festeggiare i 100 anni dell'azienda spegnendo le tante candeline su un film di animazione, che s'inchina con umilità a oltre 60 lungometraggi che in molti casi hanno fatto la storia del cinema, significa rifarsi con passione alla propria identità. E ribadirla, con una sincerità che non mettiamo in dubbio ed è evidente. Il sogno è alla base della poetica disneyana, e oggi ci sono molti re Magnifico, che gettano nel calderone del loro tornaconto le nostre esperienze, da noi donate calorosamente: difficile non pensare a chi detiene il potere di social, aggregatori e motori di ricerca. Fiaba all'antica, sensibilità moderna sottotraccia: ma se la formula è la stessa di Frozen, perché a nostro parere funziona meno? Il punto è che la resa ci è apparsa troppo... programmatica, così come la struttura musical a questo punto "obbligatoria", con canzoni di Julia Michaels prive di un apice forte e simbolico come "All'alba sorgerò" / "Let It Go" (non aiuta una versione italiana che fa le acrobazie per cercare di rendere naturali i testi dei pezzi, problema di cui soffriva anche Encanto, peraltro più efficace nei brani).

Il senso poetico della premessa è chiarissimo, ma la sua attuazione pratica è un po' forzata, tanto che affiora qualche parentesi spiegona: il concetto che i sogni debbano in realtà appartenere ai legittimi proprietari è lampante dopo pochi minuti di proiezione, e anche la presa di coscienza della protagonista Asha avviene prestissimo, rendendo lei e il messaggio del film piuttosto ripetitivi e senza sorprese fino alla fine. Sulla carta, il personaggio di re Magnifico poteva incarnare quella problematicità moderna che aveva fatto la forza di Frozen, perché il suo comportamento arriva da un trauma spiegato nell'incipit: questo spunto di comprensibile umanità non viene però più recuperato, e si lascia che Magnifico diventi un villain molto tradizionale.
Sempre per la funzione celebrativa che incarna, Wish si concede poi una quantità di fanservice disneyano da capogiro: ogni nerd legato alla storia dell'animazione dell'azienda troverà di che saziarsi. Ci sono ammiccamenti più evidenti, come gli amici e le amiche di Asha rilettura dei Sette Nani, altri più sottili: abbiamo persino notato citazioni grafiche, per esempio in uno scoiattolo canterino nel design simile a quelli della Spada nella Roccia. O in un cavallo che s'imbizzarrisce con la stessa animazione di Le avventure di Ichabod & Mr. Toad, citazione assai meno scontata. È solo la punta dell'iceberg, però è un aspetto autoindulgente della modernità, quasi in stile Marvel.

La quarta parete inizia a traballare, arrivando a crollare nei titoli di coda, popolati dai personaggi che la casa ha creato negli ultimi ottant'anni e passa (in ordine rigorosamente cronologico): ribadiamo che non mettiamo in dubbio la sincerità dell'operazione, ma la metanarrativa è una strada meno forte di altre che i WDAS hanno dimostrato di saper battere negli ultimi anni, specie quando le nuove aggiunte come la capra Valentino non lasciano il segno come un Olaf. Frozen e anche Zootropolis hanno saputo costruire su quell'eredità senza doverla citare apertamente, incarnandola nel suo continuo divenire e aggiornarsi, più che ribadendola con nostalgia come avviene in Wish. Basti ricordare che il 50° lungometraggio del canone fu festeggiato con Rapunzel, perfetto esempio del concetto che stiamo esprimendo. Forse c'è qualcuno che ha bisogno di un discorso poco sofisticato, esplicito e a carte scoperte come Wish per ricordare quelle radici. Sono state seppellite dall'estensione spropositata del marchio Disney in vari rami dell'intrattenimento, e a qualcuno farà bene ripassare le origini di quell'affetto. Altri continueranno a preferire opere più... disinvolte, nel loro giocare sulla tradizione e sulle potenzialità dei Walt Disney Animation Studios.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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