La recensione di W., il biopic di Oliver Stone
Dopo il passaggio al Festival di Torino ed una presenza in una sola sala romana per qualche settimana, W. allarga la sua presenza nei cinema italiani. In attesa del passaggio televisivo su La7 del 19 gennaio e dell'uscita in home video.
W. - la recensione
Grottesco più che irriverente. “Intimista” più che politico. Il tanto atteso film di Oliver Stone su George W. Bush non solo conferma il progressivo declino artistico del regista americano, ma lascia perplessi per intento e funzione. Già penalizzato dall’arrivare in qualche modo “fuori tempo” massimo – ma Stone in questo va d’accordo con Berlusconi, per loro (e non solo, e non a torto) di Bush si tornerà a parlare in termini storiografici – W. è un film tanto semplicista da far sollevare dubbi relativi alla sua utilità.
Svuotato da ogni tipo di approfondimento riguardante i meccanismi e le dinamiche del potere politico negli Stati Uniti, W. si limita a ritrarre un personaggio banalmente idiota e con profondi complessi scatenati da un’ingombrante figura paterna, che arriva a sedere quasi per caso (o per bisogno di rivalsa) sulla poltrona più importante del mondo. Per poi venire evidentemente trattato come una marionetta da figure mefistofeliche come il Cheney di Richard Dreyfuss o il Rumsfeld di Scott Glenn, o blandito da altre servili come la Rice di Thandie Newton o il Karl Rove di Toby Jones (tutti interpreti azzeccati, come d’altronde il resto del cast). Che in questo ritratto ci sia ben più di un fondo di verità è probabilmente verissimo: ma è anche in primo luogo risaputo, ridetto e straraccontato; in secondo è anche eccessivamente assolutorio nei confronti dell’operato di Bush e forse semplicistico nell’eclissarne lati furbeschi e manipolatori che non può non possedere per essere arrivato dove è arrivato.
Sembra quasi che Stone giochi a fare il Michael Moore di Fahrenheit 9/11, mettendo in ridicolo Bush e la sua amministrazione attraverso una caratterizzazione ironica e caricaturale. Ma, del film di Moore, Stone riprende solo la retorica e la mancanza di reale approfondimento, spiccando analogamente per l’assenza di una ricostruzione che miri a superare il solo colpo ad effetto o l’esposizione di una tesi preconcetta.
Alcune invenzioni sono azzeccate (come gli intermezzi onirici di un Bush che trova rifugio nella sua unica vera passione, il baseball), ma a mancare sono l’incisività e la profondità dell’analisi, la causticità, la voglia di far qualcosa di più di uno sberleffo nei confronti di una figura che viene trattata quasi con affetto nel suo esibito patetismo.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival