Viviane - la nostra recensione del film israeliano
Arriva dalla Quinzaine des réalisateurs di Cannes il bel film israeliano.
Parte finale di una trilogia realizzata dalla regista/attrice e dal fratello, Viviane è comunque un film a sé, che è possibile vedere e ammirare anche se non si conoscono i primi due capitoli. Il titolo originale è Gett – Il processo di Viviane Amsalem. Il “gett” è l’atto di divorzio secondo la legge rabbinica, l’unica a decidere in materia in una società come quella israeliana, dove non esiste una legge civile in merito.
Il testo del gett, che il marito deve consegnare secondo un preciso rituale alla moglie, dice: "Adesso sei permessa a tutti gli uomini”. Ed è quella frase che resta in gola al testardo Elisha, il marito che Viviane ha da tempo abbandonato e che non vuole, per nessun motivo, ridarle la sua vita e la sua libertà. Anche se il matrimonio dopo tanti anni è fallito e nonostante tutta l'infelicità che provoca ad entrambi e ai loro figli, l'uomo si fa forza di una legge arcaica che permette al marito di ripudiare la moglie ma gli dà anche la possibilità di negarle il divorzio. Perché, in fondo, la donna non ha voce in capitolo, deve sottomettersi alle regole e ai precetti religiosi, mortificare la propria femminilità anche tagliandosi o legandosi i capelli e vestendo in modo castigato, è proprietà dell'uomo che ha sposato, magari da giovanissima.
Per tutto il film i protagonisti non escono mai dalle stanze del tribunale rabbinico che, per l'ostinazione dell'uomo, il suo rifiuto di presentarsi alle udienze, le testimonianze di parenti, amici e vicini di casa e i continui rinvii del giudice, diventa una specie di claustrofobico spazio teatrale in cui il processo va avanti per anni. Della vita quotidiana della povera Viviane, costretta addirittura a tornare a casa dell'uomo per qualche mese, non sappiamo niente, così come di quella di lui.
E' un estenuante, assurdo braccio di ferro che esaspera il tribunale e la donna, sottoposta a un'ortodossia senza senso nella società odierna e che, sostenuta dal tenace e appassionato avvocato (forse innamorato di lei, e anche quella è una colpa) cerca di far prevalere la giustizia e il buon senso tra scatti di rabbia e momenti di disperazione.
E' davvero un bel film Viviane, uno dei pochi che abbia il legittimo diritto di fregiarsi della definizione di kafkiano. Non solo per gli ovvi rimandi a “Il processo” e per la straniante 'assurdità delle situazioni, ma perché, come ben sapeva Kafka e come a un certo punto viene detto nel film, “tutti siamo imputati”. La colpa del peccato originale non è mai stata riscattata e siamo tutti colpevoli di qualcosa. Il problema, però, è che a decidere della vita altrui è un'autorità che dice di rappresentare la volontà dell'Onnipotente e la contestazione di Viviane della legge è in questo senso decisa e irremovibile. In apparenza, alla fine, accetterà il compromesso pur di tornare libera, ma chissà cosa le riserverà il futuro.
Ci piace sottolineare la bravura di tuti gli interpreti di questa storia drammatica e paradossale, dalla cui rigorosa messa in scena scaturiscono, inattesi, anche momenti di pura ilarità.
Nel personaggio di questa donna battagliera e forte, dalla splendida, antica e dolorosa bellezza, si incarna una delle anime di un paese che chiede a gran voce un cambiamento radicale. In questo senso fa ben sperare il fatto che sia proprio questo il film scelto da Israele per rappresentarla agli Oscar.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità